giovedì 22 novembre 2012

Sweet Poison - Dolce Veleno








Il cammino attraverso l'oblio e la metamorfosi. Sperimentazione ibrida di fotografie e parole in collaborazione con Nicola Figus
Volute di fumo come fiamme, avvolgono il destino di un lieto oblio.
Questo dolce veleno.
  
L'incertezza, la serpe che si avvolge intorno allo stomaco ed il dubbio.
Sarò pronto?

Il primo sorso, il calore che soppianta il gelo, scorrendo sulla lingua e placando il rettile generato dalla paranoia.

Qualcosa è già cambiato.
Do il benvenuto e brindo al nuovo essere che va creandosi.
 
Riflessioni che mai avevano sfiorato la mente, affiorano,
"come candide ossa di un antico cimitero".

Forse un altro sorso mi aiuterà a capire al meglio questa nuova personalità, così distante dal mio ego.

Dio, potrai perdonare tutto questo? L'illusoria grazia con cui mi fregio di allori di cui la mia anima non è degna?

Il fumo si è diradato, ma il fuoco arde ancora, vivido smeraldo intrappolato nel cristallo.
Un altro sorso, solo un'altro, per avere il potere di obliare

domenica 14 ottobre 2012

Cacciatore e preda


Il treno penetra dolcemente la notte, con il suo contenuto di anime, corpi e storie.
Sono uno dei suoi passeggeri e posso solo immaginare le vita ed i pensieri di coloro che con me condividono questo breve viaggio.

Nel sedile accanto al mio vedo un uomo che ha notato il mio insistente frugare tra i passeggeri. Appena si rende conto che lo osservo volta la sguardo. Occhi chiari, nervosi, nascosti da spessi occhiali tondi.
Spesso sposta di nuovo lo sguardo timoroso ma insistente per vedere se lo guardo ancora. Forse sono io, con il mio aspetto che lo intimorisco, eppure, questo gioco di sguardi, da preda ricca di dettagli da cogliere e cacciatore curioso mi diverte.
Veste in modo classico. Forse un impiegato. Nella mia mente ne assume subito la forma e i miei occhi vagano per cercare i particolari stereotipati che ne diano la conferma.
Posizione composta, colletto della camicia che fuoriesce da un maglione grigio, sobrio fino alla monotonia, orologio dozzinale, braccia strette attorno al tesoro più grande: una valigetta che dalla forma pare contenere un computer portatile.
Sulla testa, la calvizie tipica, indice di stress, come i capelli bianchi mal celati da una tinta sbiadita.

Il sonno mi rapisce per qualche minuto, giusto il tempo di mettere la mia preda a suo agio.
Quando riapro gli occhi, le sue dita viaggiano veloci sulla tastiera del computer tanto protetto prima. Gli occhiali sono cambiati, sostituiti da quelli che sembrano specifici per la lettura. Lo sguardo non è più timoroso, ma rimane nervoso, quasi psicotico. I riflessi delle immagini sul monitor gli danno un'aria minacciosa. Con la coda dell'occhio, nota che ho di nuovo gli occhi aperti e che seguito ad osservarlo. Sulle prime, quasi conscio e spavaldo del suo aspetto più inquietante del precedete, mi sfida apertamente fissandomi negli occhi, ma dura poco. Distoglie lo sguardo e ritorna al lavoro ma non è più sereno. Sbaglia ripetute volte battendo sulla tastiera e rimuove gli errori imprecando sottovoce, quasi mimando solo le parole. Poi, ricordandosi di essere osservato, sostituisce le imprecazioni con spasmi nervosi ai lati della bocca.
Si arrende alla macchina e la spegne per riporla nel suo contenitore. Gli occhiali ritornano quelli di prima. Si prepara ad essere divorato nel suo intimo, ma sono soddisfatto e mi riconpongo al mio posto, cosciente che lui non sarà sereno finchè non poggerà di nuovo piede sulla banchina al nostro arrivo, libero di fuggire dai miei sguardi.

(2005)

sabato 13 ottobre 2012

Ambizione

Per oggi niente racconti, ma un po' del mio pensiero attuale.

L'ambizione è dolorosa, specie quando la meta è distante e sembra irraggiungibile, quando sulla tua strada si profilano più ostacoli che occasioni ed è facile cedere allo sconforto, alla depressione.
Personalmente ho due sogni, legati uno all'altro ed entrambi vacillano spesso, ma restano.
Perché?
Perché nonostante la fragilità, l'instabilità della mia psiche, sono testardo e se tengo a qualcosa, sbatto la testa fino a romperla, per poi medicarla e tornare a sbatterla.
Da un certo punto di vista, i periodi di merda, hanno la loro utilità: aiutano a scegliere le persone che vuoi tenere accanto nel tuo percorso, scindere quelle che ti stanno accanto a prescindere e quelle che lo fanno perché quando sei radioso, hai la forza distruttiva di un uragano intrappolata nella mente e sai come liberarla.
Il lato negativo è che la depressione rende ciechi e pur sapendolo, non si riesce a vedere. A volte c'è bisogno di qualcuno che sappia tenderti una mano e accompagnarti fuori dall'oscurità in cui ti sei perso, ma quando hai poche persone di cui ti fidi davvero, è tosta.

Ho due grandi sogni e li avvererò, o soccomberò dando tutto me stesso e anche più di quel che posso dare, perché questo vuol dire essere me, donare a prescindere da quel che si ha.
La strada è lunga, tortuosa ed ho solo intravisto le insidie che nasconde, ma il traguardo, va ben oltre ogni contentino possa dare la vita.
Non mi interessa l'arrivo facile, la spintarella per arrivare in fondo. Preferisco devastarmi di continuo, ma fare tutto con le mie forze, anche se molte volte mi sembra di non farcela e mi fermo.
So cosa ho dentro, passo fin troppo tempo ad analizzarmi per non saperlo e so bene che se giudico merda tutto quello che faccio, è solo perché so di poter dare di più, o meglio VOGLIO dare di più.
Ogni livello di apprendimento, implica un più alto livello di critica e il peggior critico che troverò sulla mia strada, sono io. Continuerò a distruggere il mio lavoro perché non mi basta mai. Io cerco la perfezione, quella assoluta ed insindacabile, non quella che soddisfa che guarda la tua opera, ma quella che finalmente mi porterà ad amarmi.

Negli ultimi tempi, mi è stato più volte dato del genio e personalmente non penso di meritarlo, non ancora. Mi è stato riconosciuto un talento che ancora è più che latente. Vorrei tanto che chi mi riempie di complimenti possa vedere con i miei occhi per un giorno, sentire quello che sento, provare quel che provo, immaginare quel che immagino. Solo a quel punto potrebbe capire REALMENTE dove voglio arrivare e capirebbe quanto banale e maldestro sia tutto ciò che ho creato finora.
Forse sono davvero un genio, ma ancora non l'ho dimostrato. Tutto quel che avete visto, non è che un pallido riflesso di quello che vorrei esprimere. Certo, c'è cuore, perché lo metto in tutto quel che faccio, rischiando più volte di ferirlo per l'ennesima volta e non riuscire più a rialzarmi, eppure continuo, a volte correndo a volte strisciando, ma continuo, perché non c'è nulla di più bello del mio traguardo: la felicità.

Un grazie sentito per quelle persone che credono in me anche quando non ci credo io, che nonostante i miei tentativi di isolarmi, continuano a starmi vicino. Grazie dal profondo della mia anima.

venerdì 12 ottobre 2012

Sharon Tate

La luce invase la stanza con violenza. Il buio era stato padrone li per molti anni.
"Mette i brividi vero?" - disse Sara guardandosi intorno - "Si, ma è solo il concetto che hai di questo posto. Pensa di essere nella vecchia casa dei tuoi nonni." - commentò asciutto Gavin togliendo una torcia dalla cinta porta arnesi.
Dal retro della casa si sentì una voce che urlava: "Fatto! Andata?" - Gavin si sporse dalla porta ed urlò in risposta - "No! Credo abbiano staccato tutto! Dovremo arrangiarci! Vieni a dare un'occhiata, voglio un parere!".
Un ragazzo magro e slanciato in camicia hawaiana e jeans spuntò dal retro e si diresse verso l'ingresso - "Che vuoi sapere?" - disse rivolgendosi a Gavin. Per tutta risposta quello gli mise la torcia in mano e lo spinse attraverso la porta - "Voglio sapere se riesci a dargli la luce adatta con quello che abbiamo".
Stan puntò la torcia verso il lampadario ricoperto di ragnatele. Un tempo doveva essere stato uno splendore, in cristallo e ferro battuto. Ora gran parte dei prismi di cristallo erano rotti e molti giacevano sul pavimento con la piccola asola di aggancio che spuntava come un moncherino.
"Credo che anche un incompetente potrebbe fare qualcosa di favoloso qui! Si respira ancora l'odore di sangue" - disse Stan elettrizzato. Al sentirlo, Sara annusò l'aria, facendo scoppiare in una fragorosa risata gli altri due.
"Scusa Sara, è che delle volte, non capisco davvero se sei ingenua o cosa!" - disse Gavin cercando di non riprendere a ridere. Sara li guardò con la classica faccia di chi ha in mente solo un gigantesco punto interrogativo "Perché dici questo?" - chiese. Il ragazzo la guardò per qualche secondo, poi con un gesto della mano liquidò la faccenda - "Niente, tranquilla. Scarichiamo il furgone?".
I tre ragazzi si diressero verso il piccolo furgone rosso parcheggiato nel vialetto ed iniziarono a scaricare faretti e stativi. Sara prese una cartella e da dentro prese un foglio.
"Gavin.. qui dice INIZIO RIPRESE ORE 19.00, è una versione sbagliata del piano di lavorazione?" - il ragazzo le passò accanto con un grosso rotolo di cavi - "No no, è quello giusto". Sara scosse la testa - "Ma sono le 8 del mattino! Cosa facciamo qui da quest'ora?" - "Vedrai!" - rispose Gavin prima di oltrepassare la porta.
La ragazza andò sul retro del furgone - "Cosa dobbiamo fare prima dell'arrivo degli attori?" - chiese a Stan. Il ragazzo la guardò e con un sorrisone le rispose - "Vedrai!".


Ora la stanza era perfettamente illuminata. Stan sapeva esattamente come arrangiarsi con poco e non perdeva occasione per dare sfogo al suo talento.
"Bene, siamo pronti" - disse Gavin - "Qualcuno di voi è a conoscenza della leggenda di The Downward Spiral?" - gli altri due ragazzi scossero la testa - "I Nine Inch Nails, registrarono l'album all'interno della casa di Sharon Tate, la villa dove Charles Manson e la Famiglia massacrarono lei e tutti gli invitati. La leggenda dice che in alcune tracce dell'album, si sentano dei rumori che non sono stati inseriti dalla band" - Sara si alzò in piedi - "No Gavin! Avevi detto niente sperimentazioni macabre!" - e si incamminò verso la porta. Stan corse verso di lei per fermarla - "Tranquilla! Nessuna sperimentazione macabra. Ma non abbiamo scelto questo posto a caso. Qui, 20 anni fa, un padre di famiglia perse la testa e prima di suicidarsi, massacrò la famiglia, c'è chi dice con un fucile e chi sostiene che usò un martello. Il punto è il seguente: siamo bravi in quel che facciamo, ma ai festival, i nostri lavori vengono ignorati. Certo, il pubblico di nicchia ci adora, ma noi vorremo avere qualche riconoscimento ufficiale. Cosa potrebbe dare abbastanza rilievo ad una produzione a basso budget come la nostra? Pensa a The Blair Witch Project! Con una bufala e pochi dollari, hanno fatto un pezzo di storia del cinema. Suggestione, tutto qui".
Sarà si calmò - "Ma perchè venire qui da presto?" - protestò. Gavin le andò incontro e la abbracciò - "Una bufala, va saputa raccontare ed io sono un perfezionista, quindi voglio delle ambientali dell'ora esatta della carneficina. Un conto e dire di averlo fatto, un altro è farlo davvero! Non sentirai nulla, te lo assicuro" - si spostò verso il centro della sala, sotto il lampadario ed allargando le braccia disse - "Questo posto è morto come i suoi proprietari!". L'eco portò la voce di Gavin in tutte le stanze della casa. Quando il silenzio tornò a regnare, Sara, titubante ma decisa a fare quello che le chiedeva il suo regista, tirò fuori dallo zaino le cuffie, aprì il portatile e collegò il microfono.
"Datemi 10 minuti di silenzio assoluto ragazzi!" - disse, ma Gavin e Stan erano già dietro di lei e fissavano il monitor del computer.
Rec.


Il silenzio era totale, al punto di riuscire a distinguere chiaramente il suono del loro respiro.
A un certo punto, sullo schermo ci fu un leggero picco. Stan, senza dire nulla indicò il monitor e guardò Gavin che annuì con gli occhi spalancati. Un altro picco, questa volta leggermente più forte e costante. Il regista si morse un labbro eccitato per quello che stava avvenendo, mentre il fotografo si guardava intorno, leggermente allarmato. Un terzo picco, sempre più alto. Gavin si portò le mani davanti al viso e continuò a fissare lo schermo con gli occhi sempre più spalancati.
Un picco, un altro, un'altro ancora, come un battito cardiaco, regolare e continuo.
Silenzio. Sara non si era mossa, era rimasta immobile a fissare lo schermo. Solo quando fermò la registrazione, gli altri due si resero conto che stava piangendo.
"Sara, che c'è?" - disse dolcemente Gavin. La ragazza si alzò di scatto, togliendosi le cuffie e buttandole a terra - "Sei una testa di cazzo!" - disse singhiozzando - "Solo una grandissima testa di cazzo!" - spinse Gavin contro la parete e si diresse verso un angolo. Stan le andò dietro e le cinse le spalle, tentando di rassicurarla.
Il giovane regista raccolse le cuffie da terra e le indossò.
Play.


Silenzio e qualche leggero rumore di fondo. Dopo un paio di minuti, un suono acuto, distante. Ancora qualche minuto, il suono sempre più vicino e più distinguibile: il vagito di un bambino.
Gavin spalancò gli occhi. Il vagito divenne sempre più chiaro e all'improvviso un tonfo seguito da un altro ed un altro ancora. Man mano che i tonfi si susseguivano il giovane capì quel che stava ascoltando. Colpi di martello.

mercoledì 10 ottobre 2012

Notturno


Più la guardo e meno riesco a coglierne il senso, la forma. Sta sul soffitto della mia camera da letto, impassibile, come se la mia presenza non la riguardasse. So che basterebbe accendere la luce per cacciarla, ma non voglio.
La sua sinuosità, il suo senso così sfuggevole, mi affascina. Potrei perdermi in quei contorni dettati da chissà quale riflesso.
Sono immerso al suo scuro corpo. Navigo con la mente su quello che un tempo era il mio soffitto, così scontato, così candido. Ora, nelle tenebre della notte, costellato di ombre assume il fascino ancestrale di un quadro dipinto da un pazzo.
Il sonno mi ha abbandonato da tempo. Mi sembra quasi che quando sposto lo sguardo, le macchie si spostino, spinte da qualche oscura corrente, o da un burlesco gioco perpetrato alla mia serenità. Domani mi sveglierò, e scoprirò la banalità degli oggetti che le hanno proiettate, ma non ora. una pioggia di luce incandescente le ferisce per un secondo. Una macchina sfreccia a pochi metri da me, e la serranda filtra le sue luci, trasformandole in lame che tagliano le mie amiche.
Loro però sono resistenti, e in pochi secondi sono di nuovo al loro posto, beffarde e immobili.
Ora decido appoggio il mio dito sull'interruttore, preparandomi alla banalità di un soffitto senza ombre.

CLIC.

(2005)

Lucida-mente


Ho chiuso. Stavolta ho davvero chiuso. Appoggio gli occhiali sul cornicione e sento per l'ultima volta il vento freddo che mi scompiglia i capelli vado giù veloce, giusto il tempo di riorganizzare tutti i pensieri e forse, rivedere la vita come un film come si dice. Attendo l'impatto, quello che mi darà finalmente l'oblio di una dolce morte poco dolorosa. A breve la mia testa si fracasserà sull'asfalto di sotto e io smetterò di pensare. Quel che avverrà dopo non mi importa. Eccolo lo vedo è vicino.
Impatto!


C'è qualcosa che non va. Non sento dolore ma vedo tutto. Una piccola folla mi si è raccolta intorno. Una ragazza grida. Non devo essere un bello spettacolo. Vorrei alzarmi e scappare, ma non riesco a muovermi. Non ho alcuna voglia di spiegare perché l'ho fatto. Troverò un posto più alto appena riuscirò ad alzarmi.
Non sento nulla. Non riesco a chiudere gli occhi. Riprovo. Piano. Muovi un dito. Forza! Nulla.
Intanto è arrivata l'ambulanza. Mi aspetto già le domande. Perché, percome, per chi. Non risponderò.
Un paramedico mi tasta il collo. Non sento la pressione delle dita. Un pensiero mi aggredisce con violenza: e se avessi danneggiato qualcosa nella caduta e ora fossi paralizzato? Oddio no! Non lo sopporterei! Tutta la vita a pensare e non potere agire! Non potrei nemmeno farla finita perché non riesco a muovermi.
Il paramedico ritira la mano e guarda il portantino accanto a lui scuotendo la testa. Che succede? Sono vivo!
Nel frattempo è arrivata la polizia. Vedo il paamedico che va verso l'agente sceso dalla macchina. L'agente mi guarda e scuote a sua volta la testa.
Un altro portantino scende dall'ambulanza con un lungo sacco nero in mano. Ora i portantini aiutati dal medico mi adagiano nel sacco e chiudono.
Ora è buio.
C'è un errore! Io non sono morto! Ragiono, vedo, sento ogni cosa, tranne il dolore.
Sento ogni singolo rumore, ogni fruscìo del mio corpo sulla tela plastificata del sacco, lo sciabordio del sangue che si va accumulando sul fondo.
Il mio orrore cresce sempre di più. Ora l'ambulanza si è fermata. Aprono il portello.
Deve essere arrivato il momento in cui mi analizzeranno il sangue per stabilire se fossi drogato. Allora il coroner capirà che sono ancora vivo e io passerò tutta la vita che mi rimane su una fottuta carrozzina. Vedo la luce. la faccia di un uomo dai folti baffi grigi che mi guarda. Quei freddi occhi osservano il mio corpo. Ora prende una siringa e la affonda nella carne. Non sento nessun dolore. Aspetto il momento in cui si renderà conto che sono ancora vivo.


Inizio a pensare che qualcosa non va.
Un freddo pensiero mi attraversa la mente come una dolorosa scarica e capisco. Io sono morto sul colpo, ma la mia mente è viva! E' dunque questa la morte? L'eterna coscienza di essere morti? Nessun paradiso, nessun oblio! Solo lucida coscienza della propria morte. Un'infinità da passare a pensare? Ora vorrei rivivere! Lo vorrei davvero. Vorrei non avere mai fatto il tuffo. Voglio tornare indietro nel tempo e andarmene da quel cornicione, riabbracciare tutte le persone che amo e mi amano.


E' passato già un giorno dalla mia morte. Ora stanno chiudendo la bara. Ho visto tutte le persone a me care piangere per me ed io avrei voluto piangere con loro, urlare, ma non ho potuto. Starò al buio per l'eternità.


Sento freddo.

(2005)

martedì 9 ottobre 2012

L'antico Saggio

Con il cuore che batteva all'impazzata, Rithion si avvicinò al torrente. Il vento notturno accarezzava dolcemente il suo corpo nudo, facendolo rabbrividire.
"Ora, immergiti e lascia che l'acqua culli i tuoi sensi, dovete essere un tutt'uno" - disse il grohm con la sua voce stridula.
Il giovane si immerse nell'acqua, scoprendola tiepida, nonostante fosse una notte fredda. Sprofondò nel liquido fino al collo e tornò a guardare la sua guida.
"Ora, lasciati andare e lui verrà da te" - disse il grohm.
Rithion vuotò la mente dai pensieri e lentamente, il suo cuore smise di cavalcare come una mandria di satiri.
Chiuse gli occhi e lasciò che la corrente plasmasse la sua pelle e placasse la tensione dei suoi muscoli.
Quando riaprì gli occhi, vide inanzi a se il riflesso della luna sul fiume, allungato attraverso il dolce movimento dell'acqua. Nella sua mente, vedeva una sottile lama di luce, che lo chiamava a se.
Una voce distante, sussurrava suadente nei suoi pensieri: "Ora che sai dov'è, prendila e se sei pronto, essa sarà tua".
Allungò la mano, rilassato, ma timoroso nei confronti di ciò che avrebbe percepito. Man mano che le sue dita si avvicinavano al riflesso, esso rallentava il suo ondulare e quando stava per toccarlo, era immobile, galleggiava sulla superficie. Lo afferrò e la sua mano, percepì qualcosa di solido e freddo.
"Ora puoi uscire dall'acqua" - disse la voce distante - "e rinascere come una nuova essenza"
Man mano che la frase veniva pronunciata, si avvicinava e mutava, da calda e distante a vicina e stridula. Gelfed guardò soddisfatto Rithion ed in particolar modo, la spada che teneva in mano.
"Prima che si disciolga, rendila una parte di te" - disse il folletto.
Rithion, aprì il palmo della mano sinistra e poggiatavi al centro la lama, la fece scorrere contro la pelle, macchiandola di sangue. La gemma incastonata sull'elsa, che fino a quel momento era candida come la luna, si colorò di rosso ed il giovane stregone sentì una sensazione mai provata prima. Riusciva a contare le gocce d'acqua che scivolavano sulla sua pelle, nel vento, distingueva un canto soave e gentile, anche se malinconico e nell'aria, vedeva fluttuare centinaia di piccole luci, dal colore azzurro. Guardò Gelfed - Questo dunque è il potere che avete donato al mondo?" - disse in un sussurro, piegato dalla bellezza di ciò che lo circondava.
"Questo è un potere molto più antico. Vive in ogni cosa da prima che la coscienza potesse camminare" - rispose il grohm - "Vieni, ti mostro una cosa".
Prese la mano del ragazzo e si incamminò dentro il vicino bosco.



Non è facile descrivere la maestosità di un Saggio, la sensazione che si prova osservandolo è la certezza che lui si trovi li dall'alba dei tempi, con le lunghe braccia pallide protese verso il cielo e le dita dei piedi affondate nella terra. Il suo canto melodioso e triste riempiva le orecchie e l'anima di Rirhion.
"Questo è uno degli ultimi grandi Saggi, uno dei più antichi" - disse Gelfed facendo un profondo inchino davanti all'albero bianco - "Lo senti vero? Il suo canto". Lo stregone non rispose. Il suo petto si gonfiava e sgonfiava ritmicamente ed il suo cuore aveva ripreso il suo sfrenato galoppare. Aveva gli occhi sbarrati, ipnotizzati dal globo pulsante che si trovava tra le radici di quell'essere.
Gelfed notò il suo interesse e si avvicinò a quella strana escrescenza - "Questo, è il suo cuore. Tramite questo, convoglia le energie e le volontà della terra e le disperde nell'aria, affinché la magia possa diffondersi per il mondo. Anche solo sfiorarlo, dona un potere immenso" - spiegò.
Lo Sguardo del giovane stregone si illuminò di gioia, ma la sua bocca era deformata da un ghigno sadico - "E assumerne direttamente la linfa? Quanto potere da?" - mormorò. Il folletto lo guardò spaventato - "No Rithion, non è una cosa saggia bere direttamente dal cuore. La sua forza non è fatta per gli esseri umani. Sei davanti ad un antico Dio, mostra un po' di rispetto per la sua grandezza!".
Rithion non si mosse e la sua mano si saldò fermamente sull'elsa del suo nuovo athame - "Riesco a sentire la sua grandezza e la desidero. Diventerei il più grande, il più temuto, mi donerebbe l'immortalità. Questo dice la sua canzone". Il suo sguardo diveniva ogni secondo più cupo e folle ed il folletto, gli andò incontro.
"Rithion, non puoi.." - provò a dire Gelfed con tono gentile - "Zitto!" - disse lo stregone innervosito - "Non ho bisogno delle tue parole ora, folletto! Mi attira a se, lui vuole che io mi nutra da lui! Mi chiama!".
Il grohm indietreggiò intimorito - "Ti attira a se perchè la tua magia viene da lui, è normale, ma non farti ingannare dal tuo nuovo potere, tu non puoi sopportare così tanto.." - gemette Gelfed - "Io no, ma tu.." - disse Rithion mentre avanzava minaccioso verso il folletto. Lo afferrò per la gola e lo trascinò vicino al cuore pulsante. Vi si inginocchiò davanti percependone maggiormente lo sconfinato potere. Con la mano sinistra, affondò la lama dell'athame a fondo nell'escrescenza e subito, un acuto grido si levò tra le fronde maestose dell'antico Saggio. Gelfed si divincolava dalla presa dello stregone, ma era troppo tardi. Rithion poggiò le sue labbra sulla ferita pulsante ed il corpo del folletto si contorse, mentre un'ondata di luce attraversava il corpo del suo irato allievo e si riversava in lui, accecante, bollente, e potente.
L'urlo tra le fronde andò pian piano affievolendosi e Rithion smise di bere dal cuore. Allentò la presa dal grohm che ne approfittò per liberarsi dalla sua presa ed allontanarsi. Le lacrime colavano copiose dai suoi grandi occhi, mentre il suo nuovo padrone, inginocchiato tra le radici, levava lo sguardo al cielo e cantava - "Luce della terra, fuoco degli dei. Luce della terra, fuoco degli dei. Luce della terra, fuoco degli dei. Luce della terra, fuoco degli dei. Luce della terra, fuoco degli dei. Luce della terra, fuoco degli dei....".
Gelfed si coprì le orecchie con le mani ossute, ma quella canzone rimbombava nel suo petto, nelle sue vene e lo smembrava pezzo a pezzo.
Luce della terra, fuoco degli dei. Un Dio era morto ed ogni grohm del pianeta, ne piangeva la scomparsa.

lunedì 8 ottobre 2012

Improvviso

Questo racconto è da leggere con questo sottofondo Schubert - Improvviso Op. 90 n. 3 o per lo meno, è consigliabile.

Il vialetto è quasi totalmente sommerso dalle foglie secche cadute dagli alberi. Quando soffia il vento, sembra di sentire il mare durante una tempesta e guardandole, sembra quasi di scorgere i riflessi del tramonto sull'agitazione dell'acqua, eppure sono foglie, e tali restano, come me, che resto dentro casa ad osservarle dalla finestra.
Non guardo la televisione, a dire il vero, ho perso anche il telecomando e non so se l'apparecchio funziona ancora. Passo le mie giornate in solitudine, ogni tanto scrivo, ogni tanto disegno ed ultimamente, ho riavvicinato le dita al vecchio pianoforte ereditato da mio padre. Lo stesso pianoforte, che durante la mia infanzia mi è stato negato, anche con severe punizioni, quando in silenzio mi avvicinavo e ne spiavo i tasti e poco a poco, immemore della cautela, ne premevo uno, poi un'altro ed un'altro ancora, per permettere a quel suono dolce e profondo di sconquassarmi l'anima. Quasi immediatamente, mi pentivo di avere provato quel piacere, lacerato dalla cinghia di mio padre che con il suo schiocco secco, mi riportava alla realtà della mia infrazione.
Per tutta la vita ho portato i segni della sua violenza e delle sue negazioni. Quando ho scoperto le ragazze, durante l'adolescenza, e timidamente ho provato ad avvicinarmi a loro, nel momento preciso in cui stavo per essere felice, mi negavo di esserlo, scappando, lasciando tutto a metà. La stessa cosa è avvenuta negli studi, sul lavoro, in ogni singola cosa che potesse donarmi gioia, la boicottavo, come se il piacere mi fosse precluso.
Solo ora, nella mia solitudine, a distanza di anni, mi concedo quello che fu il piacere ancestrale, suonare quel vecchio e ingombrante pianoforte, carezzarne i tasti e conoscere ogni sfumatura del loro colore, dal bianco al rosso, al nero. Il candore di quelle note, sovrapposto, ora diventa poesia ed armonia, come pennellata su un dipinto che tratto dopo tratto, mostrano la bellezza rubata ed intrappolata sulla tela, come le lettere che preso il giusto ordine, fanno percepire persino odori, colori e rumori mai sentiti. Questo avrei voluto dire a mio padre, fargli capire che non volevo distruggere il suo tesoro, ma condividere tutta questa bellezza con il mondo. Mentre moriva, mi ha sentito suonare per la prima ed ultima volta ed ha pianto, ed io, con lui. Gli ho stretto la mano, mentre lentamente il sangue si infiltrava nelle trame del tappeto. La melodia dell'Improvviso n.3 di Schubert mi echeggiava ancora nella mente, mentre con calma, lo portavo in giardino e nel silenzio della notte lo seppellivo, li dove ora ci sono le foglie, e nel vento sembrano un mare in tempesta.

Eternità

I vampiri non vivono in eterno, chi lo afferma, non ne ha mai conosciuto uno.
I vampiri cercano la morte, ma non come lo fanno gli esseri umani, con timore e nessuna certezza di ciò che verrà dopo, ma con dolcezza. Per capirlo, devo spiegarvi il perchè della nostra esistenza. Si, nostra, sono un vampiro, anche se nessuno lo sa.
Ognuno di noi, nasce in modo differente, ma con lo stesso filo conduttore.
Di solito, chi si suicida per una delusione amorosa, diventa uno di noi. Il senso, me lo ha spiegato Michael, un vampiro che conoscevo ed ora, per sua fortuna, è morto. Si, per sua fortuna, perchè un vampiro, può morire, solo quando trova la sua anima gemella. Lui mi spiegò che è perfettamente sensato, una giovane vita viene strappata alla vita per amore e gli viene data una seconda possibilità, sotto una forma diversa e con innumerevoli sacrifici. Deve dimostrare di volere veramente ciò per il quale si è tolto la vita. Per questo gli viene vietata la luce del sole ed è obbligato ad uccidere e bere sangue (non è nutrimento, serve solamente a tenere caldo il nostro cadavere). Nell'orrore di questa vita, un vampiro capisce, diviene cosciente di ciò che è davvero importante: invecchiare accanto a qualcuno. Esatto, avete capito bene, quando un vampiro incontra la propria anima gemella, invecchia e muore, come un qualsiasi essere umano. Non deve più cercare sangue per scaldarsi perchè ha qualcuno che gli incendia il cuore e l'errare di notte, non è più una condanna, in quanto concede di vegliare sui sogni della propria amata.
Tuttavia, questa ricerca, è lunga e per molti di noi va avanti da secoli.
Ah, quante volte ho creduto di aver trovato la mia. Avevo la quiete, tutto era perfetto, eppure, continuavo ad essere giovane e la mia sete non si estingueva.
Solo alla fine ho capito. La complessità, questo contraddistingue la realtà da un miraggio.
Nella mia anima gemella, ho trovato il caos, l'instabilità, la sofferenza, tutto ciò che è proprio dell'amore umano, il vero amore, quello che ti fa tornare da lei, nonostante tutto, quello che ti fa apprezzare una carezza dopo un violento litigio. Questo ci uccide e noi rincorriamo la nostra morte, la desideriamo, più di ogni altra cosa al mondo, la morte accanto alla persona che ci ha restituito la vita.

La Danza dell'Oblìo

"Ma quello.." - disse titubante Gelfed - "..è veleno!"
Rithion si voltò e lo fissò torvo.
"No, è il mio sangue ed è necessario per il compimento dell'incantesimo." - replicò.
Stava chino sugli alambicchi dalle prime luci dell'alba ed ora la luna era alta nel cielo.
Capitava spesso che si attardasse tra antiche pergamene e soluzioni proibite, ma questa volta, aveva uno scopo.
"La reazione con l'infuso di belladonna dovrebbe essere differente, non è sangue!" - continuò il grohm.
Nonostante avesse 300 anni, il folletto aveva il carattere dispettoso e saccente di un adolescente e questo faceva innervosire terribilmente il suo padrone.
Rithion girò su se stesso e sollevando una manica della sua tunica, mostrò a Gelfed due profondi solchi sul polso, un evidente segno di una mutilazione rituale. Nella foga di dare dimostrazione delle sue parole, invece di mettere la prova sotto gli occhi del folletto, gli assestò un violento pugno sul fragile sterno, facendolo cadere dal tavolo, su una pila di libri.
"Non occorre essere violenti.." - disse Gelfed indispettito - "Ogni stregone ha i suoi segreti e se vuole mantenerli anche con il proprio famiglio, può farlo."
Senza curarsi della salute del suo piccolo ed anziano assistente, Rithion tornò ai suoi alambicchi.
"Meno sai di questo sortilegio, meglio è. I grohm non dovrebbero mai avvicinarsi al lato oscuro della magia."
Gelfed si rimise in piedi e fissò il giovane stregone.
"Se non fosse per me ed i miei fratelli, voi miseri umani non potreste giocherellare con gli elementi, ne conoscere gli arcani sotterranei. Lo sai perchè? Perchè è parte di noi e siamo rimasti in pochi, quindi di tanto in tanto, prova a trattare meglio chi ti da il potere. Anche un grazie, di tanto in tanto, non sarebbe brutto!"
"Certo certo, come dici tu" - disse seccato Rithion senza levare lo sguardo dal gigantesco tomo che leggeva -  "Ora, visto che ci sei, invece di gironzolarmi attorno, da una sistemata ai barattoli sullo scaffale, ho da fare"
Gelfed si allontanò dal padrone e si diresse verso lo scaffale, borbottando in dialetto grohm, ma tenendo sempre un orecchio teso ai cupi borbottii dello stregone. Aveva già visto quel nervosismo in lui, anni prima, la notte nella quale in cuore era stato trafitto. Nulla era tornato più come prima. Lo stesso Gelfed, nei suoi 3 secoli, non aveva mai vissuto una notte più terrificante di quella. Trafiggere il cuore, era considerato di per se un atto orribile. Fatto da uno stregone che aveva incontrato da poco il suo grohm era qualcosa di inconcepibile.
Ricordava nei dettagli ogni minuto, ogni lancinante lamento emesso dall'albero, persino l'oscura nenia recitata dal suo padrone, nonostante avesse fatto di tutto per dimenticarla.
Di sicuro, Rithion non avrebbe trafitto un cuore, non ne aveva più bisogno, ma in cuor suo, il folletto temeva che stesse preparando qualcosa di molto peggio.
Il barattolo che teneva in mano si disciolse in sabbia. Nella stanza echeggiava la quarta strofa del "Rompimento dell'Acqua".
Gelfed, si voltò verso Rithion.
"Inharmeth! Non Inhermeth.." - rimase con il rimprovero incastrato in gola, mentre Rithion affondava il suo athame, la sua lama rituale nel petto del folletto. Il filo della spada, era completamente pregno della pozione che stava creando, legata al metallo dal "Rompimento dell'Acqua".
Il corpo di Gelfed scivolò via dalla lama, privo di vita. La "Danza dell'Oblìo", il suo ultimo progetto, l'unica cosa in grado di uccidere un grohm, aveva funzionato ed ora era libero. Libero da quel potere devastante che aveva acquisito durante la notte del cuore, la notte nella quale aveva sacrificato uno degli antichi dei della Terra per ottenerne il potere. Solo il suo famiglio lo legava a quel voto ed ora, Rithion, era di nuovo un essere umano, senza potere, senza conoscenza. I tomi di magia presenti nella stanza si sgretolarono e l'athame si sciolse, tornando ad essere acqua e si disperse negli interstizi del pavimento di pietra. Le pozioni ribollirono fino a far scoppiare gli alambicchi e quello che un tempo era stato un potente e temuto stregone, varcò la porta del suo laboratorio per l'ultima volta e per la prima volta dopo quasi un secolo, guardò la luna con occhi umani e pianse per la sua bellezza.

lunedì 20 agosto 2012

La danza degli elementi #1 Acqua

Tutto ciò è talmente surreale da essere spaventosamente vero.
Se non ci fosse il gelo dell'acqua ad intrappolare i miei piedi fino alle caviglie, potrei persino pensare che sia un sogno.
Ho sempre amato il mare notturno, questa immensa distesa, più scura del cielo, chiazzata dal candore della luna, agitata solo da deboli sospiri di vento.
Oltre al mare, il cielo ed il mio corpo nudo, non esiste altro ed anche se esistesse, non mi importerebbe.
Un passo dopo l'altro, un centimetro per volta, mi vesto di acqua e anche il freddo smette di esistere, anche se rabbrividisco ancora.
Sotto i miei piedi, la sabbia mi accoglie gentile e tenta di tenermi per qualche secondo, complice dell'acqua che rallenta i miei movimenti, ma io non ho fretta.
Questa notte sarà eterna ed è giusto che lo sia.
Sono immerso fino ai gomiti e decido di immergermi del tutto, trattenendo il respiro e rilasciandolo lentamente, mentre riemergo e la mia testa viene trattenuta dal peso dei miei capelli.
Lentamente ruoto su me stesso e mi sdraio su questo letto sconfinato, carezzando l'acqua per spostarmi sempre più dalla riva, da quel che rappresenta.
Lascio affondare la testa per qualche secondo e resto ad occhi chiusi, conscio solo della bellezza che mi circonda e mi avvolge.
Bracciata dopo bracciata, mi fondo sempre più con questo elemento così simile a me eppure così differente. Le luci della vicina città sono sempre più distanti e deboli, eppure fin da qui, riesco a percepire la caoticità che le alimenta, la pseudo-vita di coloro che si nutrono di quella luce fasulla, mentre io riscopro la purezza del plenilunio e la quiete del silenzio sussurrato dal mare.
Ho bisogno di allontanarmi da quel frastuono, che anche se non raggiunge le mie orecchie, ha stuprato talmente a fondo la mia mente da averla impregnata.
Nuoto, mi allontano. L'orizzonte mi aspetta ed insieme a lui, l'oblio di una notte che sarà eterna, non finirà con me, continuerà, fino all'alba della mia rinascita.
Annegare non è mai stato così poetico.

sabato 18 agosto 2012

Brezza estiva

Lo ammetto, vivo di emozioni, nel mio lavoro, nella mia vita privata.
Sono convinto che senza le mie emozioni, senza essere una persona in grado di ammetterle sarei diverso e nonostante alle volte essere me è davvero difficile, ci sono quei momenti, in cui non solo provo orgoglio per ciò che sono, ma mi ci trovo anche bene.
Certo, quando provi qualcosa abbastanza forte da togliere il sonno, o talmente negativo da ottenebrare la capacità di ragionare, quelle sensazioni orride, che ti logorano dentro, sembra che non ne valga la pena.
Ma quando guardi fuori dalla finestra e vedi una bella giornata, o il sorriso della tua musa ti investe e sblocca quello che hai da dare, in quel momento, ti senti la persona migliore del mondo, non superiore, attenzione, non sei mai migliore degli altri, sei il meglio di te stesso. Sei pronto a fare quel che è necessario per dare il tuo piccolo contributo per guarire questo mondo malato. Sembra utopico? Forse lo è, ma se non ci si prova, di sicuro resterà impossibile e dentro di te resterà sempre quella domanda: potevo fare qualcosa?

Tutto questo non risiede solo in me, basta riuscire ad ammettere di averlo dentro. Basta guardare oltre la materia che ci avvolge e ci nasconde, oltre le nostre esperienze, regredire a quando eravamo dei bambini e dotati di quella innocenza, incontaminata dal marcio del mondo, guardare verso quello che ci aspetta da vivere ed urlare con tutta la nostra forza, perchè non siamo noi a dover temere il futuro, ma il futuro a dover temere noi!

mercoledì 8 agosto 2012

Brotherhood

La seguente conversazione è avvenuta l'8 agosto 2012 tra le 20.13 e le 23.51. Per la riservatezza del mio interlocutore, lo chiamerò semplicemente "Coscienza".

C: "Hey bello! Tutto regolare?
A: "La regolarità è soggettiva, diciamo che nell'anomalia, sto cercando una casa in affitto.."
C: "Il giorno che mi risponderai - Bene grazie - saprò che stai per appenderti ad una trave!"
A: "Naa, solo che ho aggiunto un'altro livello alla corazza.."
C: "Mmmm che accade fratello? Ti sento troppo filosofeggiante per ignorarlo"
A: "Nulla di cui abbia voglia di discutere"
C: "Fanculo tu e la tua misantropia! Sfogati!"
A: "Non è compreso tra i miei progetti futuri.."
C: "Finiscila! Te la prendi con me solo perchè sono nero!"
A: "......"
C: "Zero senso dell'umorismo, pessimo segno! Svuotati, alleggerisci il carico, non voglio ritrovarmi di nuovo a omissione obbligatoria sulla mia vita privata"
A: "Da dove stai ora ti viene difficile.. in ogni caso non preoccuparti.."
C: "Aaron, cazzo! Non obbligarmi a venire le e sfasciarti la faccia! Butta via quelle cazzo di maschere e ricordati chi sono e CHI SEI bestemmia"
A: "Ricordo bene entrambi Coscienza..."

Un'ora dopo

C: "Sei evanescente"
A: "Cioè?"
C: "A volte è come se non esistessi"
A: "Come sempre..."
C: "No, ultimamente, più del solito"
A: "Non mento più.."
C: "Passo a recuperarti e ce ne andiamo a Olbia a sbronzarci?"
A: "Ho smesso di bere.."
C: "O.O chi diavolo sei? Restituiscimi il mio amico!"
A: "Sono io Coscienza, semplicemente ho fatto una scelta.."
C: "Scelta o non scelta, alla decima tequila, sarai abbracciato a me a piangere come un bimbo e mi dirai cosa succede"
A: "Violenza psicologica?"
C: "No coglione! Fratellanza! Ricordi la "Brotherhood"?"
A: "Credo sia impossibile dimenticarla.."
C: "Appunto. Hai condiviso con me più di quanto tu possa condividere con chiunque, quindi sputa il rospo"
A: "Nessun rospo brother.."
C: "Non sei bravo a mentire, non sei abituato"

sabato 28 luglio 2012

Nemesi

Mi fissava.
Quando gli davo le spalle, dopo aver fatto finta di voltarsi a sua volta, si girava ed indugiava con lo sguardo su di me, facendomi sentire a disagio.
Forse provava invidia. Realmente non so come potesse invidiarmi, eppure, ora che sono qui, seduto sul letto, con le mani che grondano del suo sangue, mi sembra l'unica spiegazione per quella ostinata persecuzione.
Non mi sento colpevole, eppure ho ucciso qualcuno, qualcuno a cui tenevo, qualcuno che faceva parte della mia vita da tanto tempo. Non mi sento colpevole per il mio gesto, perché la sua è stata una provocazione continua.
Ho ricordi di lui che risalgono alla mia infanzia ed ora che ci penso, è il solo che mi sia sempre stato vicino, più di un fratello, più di una madre. Lui c'è sempre stato, anche se non ha mai proferito parola, a meno che non glie lo concedessi io. Nonostante questo non credo che mi mancherà, ma è solo colpa sua se è accaduto ciò che è accaduto.
Negli ultimi mesi, avevo notato nei suoi occhi una luce diversa e con la coda dell'occhio, vedevo la sua bocca distorta in una smorfia di disgusto, disgusto nei miei confronti. Nei miei confronti! Ridicolo!
Poi ha iniziato a fissarmi. Anche ora che è morto, mi sembra di percepire il suo sguardo, appuntito come uno spillo che mi penetra la nuca. Quando andavo a verificare le mie teorie, si mostrava curioso, come se anche lui cercasse di capire cosa andavo cercando, senza mai abbassare lo sguardo, tenendolo fisso sui miei occhi, come se volesse intimorirmi e puntualmente, quando mi voltavo per coglierlo sul fatto, lui era li, come sempre era stato, che mi osservava, con l'espressione di chi ha appena subito un torto ma non vuole ammetterlo.
Alla fine mi sono stufato.
Ha indugiato con il suo sguardo su di me per l'ultima volta. Mi sono mosso velocemente, convinto di riuscire a prenderlo di sorpresa, eppure, come se conoscesse le mie intenzioni, ha lottato e si è difeso, ma ha sottovalutato il suo avversario.
Ora che la lotta è finita e lui è morto, non resta altro che le mie mani insanguinate ed un tappeto di cocci sul pavimento.
Non me ne pento, ma forse inizia a farsi strada in me la malinconia e forse anche un dubbio. Ora mi alzerò dal letto e verificherò, ma sono quasi convinto di vederlo ancora, vivo, pronto a fissarmi, a sfidarmi rubando i miei occhi. Non si può uccidere il proprio riflesso in uno specchio.

giovedì 19 luglio 2012

Resina - Trascrizione di un sogno

Solitamente accade di notte.
L'aria diventa palpabile e sembra di galleggiare nel liquido amniotico, o per lo meno, è così che lo immagino.
Chiudo gli occhi e respiro, ma non inalo aria, allora mi rilasso e mi lascio cullare.

Riesco a percepire quello che era il mio corpo che si distacca, come se la mio nuova essenza, trasudasse dalla vecchia pelle, creando un nuovo me, gelatinoso e leggero.
Lentamente, fluttuo verso la finestra aperta e mi lascio cadere.

Tre piani di caduta libera e poi, a pochi centimetri dal suolo, plano, mentre l'asfalto mi scorre poco distante dal naso. Alzo gli occhi e osservo la città da un nuovo punto di vista, mentre volo nel silenzio della notte, tra le macchine che dormono nei loro parcheggi ed i padroni che riposano nei loro letti.
Un piccolo sforzo, un po' di concentrazione e riesco a sollevarmi maggiormente, librandomi a due metri dal suolo, con le braccia distese che accarezzano il vento.
Le case sono come le ricordo, eppure hanno qualcosa in più, brillano.
I miei nuovi occhi, vedono di più, vedono meglio, fino a percepire ogni granulo di pulviscolo illuminato dalla luce dei lampioni.

Come le altre volte, prendo la via principale della città, perché è lunga, in discesa e termina sul mare, dove ogni volta, mi tuffo, senza sfiorare l'acqua e continuo a volare per chilometri, sempre più velocemente, fino a vedere la costa. Allora rallento, delicatamente lascio andare la mia essenza sulla sabbia di una spiaggia che non conosco e mi siedo.
Resterò qui, a guardare l'orizzonte, in attesa dell'alba che discioglierà questo fragile corpo, di resina e sogni, facendomi destare nel mio letto, nel mio corpo di sempre, nella mia vita di sempre, ma con quel ricordo nell'anima.

martedì 17 luglio 2012

CUORE - Frammento #2

Stringimi la mano e ti insegnerò come si vola.
Affonda il tuo viso nel mio petto e sarà la tua casa.
Lascia che cammini al tuo fianco
e non starò mai un passo avanti a te

Permettimi di fare mie le tue lacrime
ed essere artefice dei tuoi sorrisi.
Dammi i brandelli del tuo cuore
affinché possa rammendarlo.

Stringimi a te come un tesoro prezioso
Allontanati serena, perché solo tu ne conosci il valore.
Respira, respira a fondo ed ascolta,
è il battito del mio cuore.

La passione distrugge le montagne
e tra di noi non c'è che una valle.
Uno sguardo può prosciugare un oceano
ed abbiamo occhi troppo profondi, per questa pozzanghera.

C'è una costante in tutto questo e batte dentro di noi,
devastante quanto annegare in ciò che ci separa,
intenso come la luce che rischiara le mie ombre,
più dolce della condivisione del medesimo sogno.

Vorresti ma non puoi.
Ci sei ma non puoi esserci.
Respiri la realtà ed inali i desideri.
Domani mi sveglierò, ma prima voglio sognarti

Non sono forse i nostri sogni, a disegnare la realtà?

martedì 19 giugno 2012

Madre Tenebra

"Mi sei mancato.." sussurrò la Tenebra "..lascia che sia io a coccolarti".
Nell'Ombra, nulla è definito.
Il dolore può diventare gioia e la gioia, tortura.
"Ti mostrerò solo ciò che vorrai vedere, figlio mio" proseguì la Tenebra.
"Madre" rispose il ragazzo "conosco il tuo seducente manto, ma ho scoperto la Luce e me ne sono invaghito".
"L'Amore è il cieco discepolo del Dolore" disse la Tenebra preoccupata.
"Lo so bene Madre Ombrosa, ma non è forse l'Amore che ha generato le stelle affinchè tu fossi meno sola?" disse il ragazzo.
"L'Amore ha molti volti.." disse la Tenebra chinando il capo "..ed alcuni ti distruggeranno, figlio mio".
"Non disperare per me Madre, non piangere la mia sofferenza, poichè essa mi permetterà di apprezzare nuovamente la gioia, ma solo amando posso sperare di gioire".
La Tenebra sollevò il capo e fissò gli occhi di quella giovane ombra. Nel profondo della sua anima, la Luce era viva e brillante.
"Permettimi solo di accoglierti di tanto in tanto, quando ricercherai l'Oblio, la confusione di una notte che scorre lenta" disse la Tenebra.
"Questa notte ti appartengo Madre, così come le notti a venire e per quanto possa piangere sul tuo grembo, non smetterò mai di amarti"
La Tenebra strinse a se la giovane ombra e ne carezzò i capelli "Il Sole tuo padre, sarebbe orgoglioso di te"

sabato 16 giugno 2012

ANIMA - Frammento #1

Affondo le dita nel mio petto, alla ricerca delle mie paranoie per poterle poi gettare e dimenticarle, ma sono troppo radicate. Un tentacolo di catrame avviluppato attorno al mio cuore, se strappo uno strappo anche l'altro ed a quel punto, non dovrei più preoccuparmi dei timori terreni.
Provo a parlarci. Ci convivo da così tanto tempo, che ormai ne conosco la lingua segreta, ma non mi ascoltano, preferiscono essere assordate dal battito del mio cuore che aumenta di intensità, mentre il tentacolo si contrae, e stringe il cuore come una morsa.
Sanguina, ma non smette di battere, fa male, da morire, ma continua a sopravvivere a questa tortura senza requie.
Indubbiamente è più forte del suo padrone. Sopporto a stento le ferite inferte dalle mille spine di questo rovo, che intanto stringe, sempre di più.

giovedì 7 giugno 2012

Storia di una foto #1

Il più piccolo dei segni. Le lancette di un orologio immobili da troppo tempo.
La scarsa importanza data ad un brandello di spazio in cui il tempo non è più calcolato e quindi non esiste.
Durata, scadenza e persino tempo, sono concetti eterei, che l'uomo tenta di dominare, per avere qualcosa da controllare, ma finisce per esserne dominato, schiavizzato, talvolta distrutto. Non si può dominare il tempo, così come non si può dominare l'anima. Si può solo stare fermi ad osservarlo.





















Out of time

domenica 3 giugno 2012

Smettere di fumare

Sono passati degli anni, eppure ricordo ancora il motivo per cui ho iniziato a fumare.
Ero incazzato nero ed avevo bisogno di sfogarmi in qualche modo. Per non rischiare di far del male a qualcuno, la scelta è caduta su qualcosa di estremamente autolesionistico, le sigarette, appunto.
Da quel momento, pian piano la mia vita è cambiata. E' cambiata la mia voce, il mio modo di vivere una tazza di buon caffè, la fine di un atto sessuale, persino la scelta delle case nelle quali decidevo di entrare.
Passando molte ore davanti al PC, il numero di sigarette fumate, si è alzato esponenzialmente.
Ho provato innumerevoli volte ad eliminare questo vizio, per i motivi più disparati:

In quanto cantante, la mia voce e la mia capacità polmonare ne risentivano.
Il perpetuo spettro di una morte atroce.
Il costo di un vizio, che alla fine dei conti, non mi lascia nulla e si prende tutto.

Nessuno di questi motivi, è mai riuscito a farmi desistere dal continuare ad introdurre nicotina nel mio organismo, ma ora, un motivo decisamente valido mi è passato per la mente.
Se domani scoppiasse un'apocalisse zombie, nonostante i miei anni di studio strategico della situazione, sarei una vittima al primo scatto, anzi, non avrei nemmeno bisogno di essere ucciso perchè dopo 20 metri, stramazzerei a terra ansimante, pronto per essere divorato e questo non va bene!
Preparatevi
L'Apocalisse potrebbe arrivare da un momento all'altro!

venerdì 1 giugno 2012

Maschere


Il profumo del sapone per pavimenti e la colonia sul suo collo si mescolano alla perfezione, ora, nel pianerottolo. L'eccitazione mi fa tremare leggermente le mani.
Faccio di tutto per non farlo notare a lei. E' stupenda. I capelli le cadono perfettamente sulle spalle, magnificamente castani. Le sue labbra, Dio, Stefano! Le sue labbra mi fanno impazzire! Carnose, piene di malizia. Si, Stefano, hai scelto bene. Ti divertirai stanotte.
Sento il lieve scatto della serratura e sento la porta che cede ad una leggera spinta, mostrando il buio del mio appartamento.
Cerco tentoni l'interruttore, e lo premo. Sono sudatissimo e sento una leggera scossa, ma faccio finta di nulla. Lei non deve sapere che sono nervoso.
-"Prego. Entra."-
Lei sorride lievemente mentre mi passa accanto. Forse ha capito, ma ormai non importa, non più. Man mano che la luce artificiale la illumina, la mia eccitazione sale. E' davvero bellissima.
In pochi istanti, un pensiero mi balena in testa. Cosa può spingere una ragazza così bella, così sensuale, a fare un lavoro del genere? Soldi? No! Solitudine? Nemmeno! Una ragazza del genere può avere tutta la compagnia che vuole.
Lei mi osserva ed io mi rendo conto che è entrata da qualche secondo ed io la stò fissando assorto nei miei pensieri.
-"Tutto bene bello? Mi sembri teso."- mi dice piegando leggermente la testa da un lato come per vedermi meglio.
-"Si si! Benissimo!"- dico tentando di non fare trasparire i miei nervi per essermi bloccato così stupidamente -"Vuoi darmi il cappotto?"
Lei si volta di spalle ed io la aiuto a sfilare l'ipermeabile. Durante l'operazione noto il suo collo, affusolato, candido e liscissimo. Immagino già le mie labbra umide che vi scorrono sopra, nella mera illusione di eccitarla.
-"Vieni, la camera è da questa parte."- dico cercando di mantenere un tono più basso e adulto possibile.
Lei sorride di nuovo. Quel sorriso beffardo, sensuale, che sembra dire tutto e nulla.
Lei mi precede nella piccola camera illuminata fiocamente da una lampadina velata da un foulard blu.
Si guarda un pò intorno e poi si siede sul letto a due piazze che ho fatto mettere solo due settimane fa, subito dopo il trasloco.
Vedo le sue natiche sprofondare e riaffiorare, mentre ci molleggia sopra.
-"E' morbido. Mi piace!"- dice, come se facesse qualche differenza.
Batte leggermente sulla coperta, facendomi segno di sedermi accanto a lei.
Mentre mi siedo, provo ad intavolare un minimo di discorso: -"Come hai detto che ti chiami?"-
-"Monica."- sussurra lei nel mio orecchio.
Posso sentire le sue labbra sul mio collo, mentre la sua mano sinistra passa sui miei pettorali. Si comincia!
In meno di due minuti sono in boxer e canottiera. Lei è ancora vestita. Stò agendo lentamente. Non voglio fare la figura del pivellino. Mi avventuro sulla sua schiena alla ricerca della cerniera del corsetto quando mi ferma.
-"Aspetta. Ti va di giocare?"- mi sussurra con una voce innocente da bimba, mista a quella malizia che sembra avere di natura.
Io non ho alcuna voglia di giocare, sono troppo eccitato, ma la assecondo per non sembrare stupido. Le faccio cenno di si col capo.
Lei scende dal letto e prende in mano la sua borsa. Ne tira fuori qualcosa di luccicante. Manette.
Risale sul letto, lentamente, facedomi sudare ad ogni sguardo.
Lentamente mi prende le mani, una ad una e me le lega alla spalliera del letto. Mentre lo fa, i suoi seni, gonfi e caldi mi passano a pochi centimetri dal naso. Sono fatto! Eccitatissimo e legato. Ora sono davvero suo!
Lei si ritira lentamente e si siede sulla sponda del letto. Si riinfila gli stivaletti e prende dal pavimento i pantaloni che mi ha sfilato solo poco prima. Dalla tasca posteriore, estrae il mio portafoglio e ne cava tutti i soldi che ci sono dentro. Dopodichè, si gira verso di me e ridendo mi dice: -"L'ho capito subito che eri un pollo! Ciao bello!"-
Dannata puttana! Mi ha imbrogliato!
Mi muovo un pò, ma la troia ha stretto troppo le manette. Bastarda! Sapeva benissimo la mia reazione, non devo essere il primo a cui fa questo giochetto! Il fatto di non essere il solo mi rasserena per pochi istanti, sovrastato immediatamente da una furia cieca.
Sento la pelle dei polsi che tira da matti mentre strattono le manette. Uno strattone più forte e sento un lieve dolore poco sotto la mano destra. La manetta mi ha lacerato, ed esce una piccola goccia di sangue che sento scorrere calda lungo l'avambracio. Mi fermo. Più mi agito, peggio è. Tra poche ore arriveranno i miei conviventi e mi daranno una mano.
So già che sarò deriso per parecchio tempo e probabilmente è quel che merito.
I nervi fanno spazio alla stanchezza. Che male c'è se mi addormento un pò mentre aspetto? Renderà più breve l'attesa.


Stefano fu risvegliato da un rumore nel corridoio.
-"Massimo? Carlo? Siete voi?"-
Nessuna risposta.
-"Monica? Sei tu? Sei ancora in casa?"-
Silenzio.
Forse era solo un sogno. Si sforza di ricordare cosa stava sognando ma non riesce a comporre delle immagini coerenti. Si riappisola.


Questa volta il rumore è reale. E' un fruscio, come passi trascinati. Vede un'ombra nel corridoio illuminato.
-"Massimo? Carlo? Venite vi prego! E' successa una cosa assurda davvero una dannata puttana..."- la frase gli si spezza in gola, non sono Massimo e Carlo.
Sulla porta, due figure vestite con lunghe tuniche nere. Volti pallidi e orbite vuote lo fissano.
-"Ragazzi? E' uno scherzo? dove le avete prese quelle maschere? Su, non fate i coglioni, aiutatemi a liberarmi da queste manette..."- un sussulto lo scuote e lo fa arretrare sul letto dando una scossa ai polsi imprigionati. I due non sono soli. Dietro di loro, altri due, identici stanno passando attraverso la porta. Gli altri due, si sono già portati silenziosi a un lato del letto e continuano a fissarlo.
Nessun rumore, eccezion fatta per quel lento fruscio delle tuniche sul pavimento.
Altri entrano nella stanza, e si dispongono accanto al letto, senza mai smettere di fissarlo.
Carlo si ritira velocemente verso la spalliera e nel panico non sente un altro rivolo di sangue lungo l'avambraccio.
Nella sua mente mille domande, ma due più pressanti delle altre le esprime a voce alta, quasi strillando: -"Chi siete? Cosa volete?"-
Nessuna risposta.
Le figure pallide continuano a fissarlo impassibili.
Due lacrime spinte fuori dal terrore scendono lungo gli zigomi di Stefano.
-"Chi siete? Rispondete!"-
Ancora silenzio. Ora sono entrati tutti. E lo accerchiano in silenzio.
-"Non mi fate paura!"- urla con voce tremante Stefano -"Se è uno scherzo, è uno scherzo del cazzo! Massimo! Carlo! Uscite fuori su!"-
Silenzio.
Ora piano piano si rendeva conto dell'odore che si sentiva. Odore di fiori. Fiori morti. L'odore forte e dolciastro tipico dei cimiteri.
Ora il panico lo aveva preso completamente. Si agitava attaccato alla spalliera, incurante delle terribili fitte ai polsi e del sangue che pian piano macchiava il cuscino.
-"Andate via!"- balbettò tra le lacrime -"Lasciatemi in pace!"-
Le figure, come spinte da un solo pensiero, si sporsero sul letto, allungando candide mani verso Stefano.

Un grido scosse la notte.


Monica soffiò lontano da se una piuma. Li odiava i cuscini imbottiti di piume. Giorgio entrò dalla porta e guardò beffardo quel grottesco spettacolo. L'uomo legato alla spalliera del letto con il buco al centro del petto ancora caldo e fumante avvolto da una miriade di piume che volteggiavano nell'aria. La chiazza rossa che si allargava sulla canottiera e il cuscino abbandonato ai piedi del letto, sventato dalla pallottola. Si girò da Monica che stava rinfilando la pistola fumante nella borsetta. Ora apriva la tasca laterale e ne sfilava le chiavi con le quali aprì le manette, per metterle a loro volta nella borsetta.
-"Tutto fatto?"- chiese impassibile l'uomo dal volto duro e la barba sfatta. Nei suoi occhi una beffarda luce di sfida.
-"Certo amore!"- rispose lei con la faccia soddisfatta -"Allora andiamo via prima che arrivino gli amichetti di questo coglione."-
L'uomo fece passare la ragazza nel corridoio affibiandole una pacca sul sedere. La ragazza lo guardò con un sorriso malizioso e uscì. Prima di uscire, l'uomo si voltò verso il corpo senza vita del ragazzo.
-"Coglione."- disse con disprezzo. Seguì la sua compagna e chiuse la porta.

mercoledì 30 maggio 2012

Il lato fresco del cuscino


Un occhialuto opinionista.
Una disinibita quarantenne che si atteggia da ventenne.
Televendita.
Televendita.
Una veggente che prevede i numeri del lotto.
Documentario pseudo naturalistico.
La nuova star del pop che starebbe meglio a fare film porno.
Opinionista.
Televendita.
Vecchio film comico-erotico.
Televendita.
Politici che discotono.
Televendita.
Televandita.
Televendita.

Alle 4 del mattino, la televisione offre più schifezze che nel pomeriggio, ed io non ho abbastanza sigarette per annebbiare tutta questa spazzatura.
Una passeggiata potrebbe essere una valida alternativa, camuffata dal bisogno di raggiungere un distributore automatico dove comprare un altro pacchetto di chiodi per la mia bara.
La strada è deserta. Una città che non offre attrattive nemmeno quando il sole è alto nel cielo, non le offre certo quando è illuminata dalla luna. L'aria fresca di una notte di primavera mi invade i polmoni. Troppa salute, meglio accendere un'altra sigaretta. La luce giallognola dei lampioni ha la sua attrattiva, una sua personale forma di poesia. Un gatto attraversa la strada e si ferma davanti a me sul marciapiede e mi fissa. Quando sono a tre metri da lui si infila di fretta tra le sbarre di un cancello e viene ingoiato dal buio di un piccolo cortile di cemento. Creature affascinanti i gatti. Chissà se nei miei occhi era evidente anche per lui la mia completa apatia, il bisogno di dormire più di due ore per notte.
La via del distributore è al buio. La vetrina illumintata sembra un faro di speranza in mezzo a tutto questo nero.
Rientrando verso casa, mi rendo conto che il cancello dove prima è scomparso il gatto è aperto.
Maledetta la noia.
Entro. Ci metto qualche secondo ad abituarmi alla penombra. Spavaldo davanti a me, c'è il gatto. Quando mi avvicino per tentare un approccio, quello scappa dentro una porta socchiusa. Quante storie per un minimo di contatto. Entro dalla porta. Cerco a tentoni l'interruttore, ma non lo trovo. La fiamma dell'accendino mi ferisce gli occhi, ma dopo un po', riesco a vedere il gatto. E' sulla porta della casa al primo piano, immobile. La porta è aperta.
La mia attenzione ora si è allontanata dal gatto. Quella porta spalancata, ad uno come me, che cerca in qualsiasi cosa uno spiraglio per alleviare l'insofferenza, sembra un gigantesco cartello di benvenuto.
Entro nella casa.
Le pareti, sono illuminate ad intermittenza da un familiare chiarore azzurrognolo. La televisione è accesa, ma manca l'audio. Forse un altro insonne.
Invece no. Lui dorme. Sdraiato su un divano di finta pelle gialla. Non voglio disturbarlo, ma la curiosità è una brutta bestia. Entro in cucina e accendo la luce. Chiudo la porta, non voglio disturbare il mio ospite inconsapevole.
All'improvviso una piccola scossa elettrica ed una senzazione di caldo, mi avvolge il collo. E' come se non controllassi io i miei gesti. Afferro un coltello e torno nel piccolo salotto. Il mio ospite dorme ancora, mentre con quattro fendenti decisi faccio in modo che non apra mai più gli occhi. Ritorno in cucina e lavo con cura il coltello, per poi riporlo ordinatamente in un cassetto. Esco dalla casa, lasciando la porta aperta come l'ho trovata. Sul pianerottolo, trovo il gatto seduto. Ora si fa accarezzare, ma non ho più bisogno del suo affetto. Mi gironzola intorno ai piedi, mentre scendo le scale ed esco dal portone, ritrovandomi nel buio della notte. Alzo lo sguardo al cielo e la vista delle stelle, mi ricorda che la notte, è fatta per dormire. Rientro a casa, sprofondo del divano ed accendo la televisione. Niente di realmente interessante. Domani parleranno di me. Domani. Per il momento spengo la televisione, mi sdraio, e prima di addormentarmi, godo per qualche minuto la sensazione di benessere che mi da il lato fresco del cuscino.

lunedì 14 maggio 2012

La Pioggia (2005)


Davide si svegliò lentamente, come tutti i giorni, osservando la superficie piatta della mensola sopra il letto. Percorse svariate volte le piccole imperfezioni che trasparivano attraverso la vernice, prima di decidere che era ora di fare iniziare un nuovo giorno.
Guardò verso l'orologio sul muro. Era la sua dannazione da quando soffriva di insonnia. Ogni giorno la sottile lancetta era sempre più indietro .
Le sette e due minuti. Più tardi del solito.
Si diresse lentamente verso il bagno, preparandosi all'impatto dell'acqua gelata sulla pelle. Si fermò con la maniglia tra le dita. Fuori nevicava, una cosa piuttosto insolita in una località di mare come la città che lo ospitava da 22 anni.
Si infilò le scarpe e aprì la porta. Lentamente percorse le quattro rampe di scale che lo separavano dal portone del palazzo.
Aprendo la porta, un po' di neve scivolò sulle mattonelle, rivelando la sua vera natura.
Non era neve, bensì pezzi di carta, di svariate dimensioni, ma mai più grandi di un palmo, con sopra stampate delle facce. Davide ne raccolse una.

Michela giaceva sul suo letto. Avrebbe tanto desiderato rivedere i sui adorati nipoti, ma erano tutti andati via. Le prospettive lavorative del piccolo borgo in cui la famiglia viveva da sempre, non erano abbastanza per le loro menti ambiziose.
Avere dei nipoti con delle vedute così ampie le riempiva il cuore di gioia, ora però sentiva che la sua ora era vicina. Il suo debole cuore aveva iniziato ad accelerare.
Non l'aveva mai spaventata la solitudine. Suo marito l'aveva lasciata quando era molto giovane, per ricongiungersi al creatore. Ora però aveva paura di morire da sola. Non voleva.
I suoi occhi pian piano iniziarono a chiudersi. Sentì un forte bruciore nel petto. Poi nulla.

Davide spalancò gli occhi. La fotografia cadde sul pavimento. Aveva vissuto, per qualche istante, gli ultimi momenti, i pensieri, le paure della donna immortalata in bianco e nero.
Si sporse dalla porta. Tutto il cortile era coperto di una soffice coltre di volti.
Una foto gli si posò sulla spalla.

Marco si arrampicò su per la scalinata. Non sapeva come fare. Le fiamme erano vicine. Troppo vicine. Morire così, a 30 anni, bruciato vivo. Pensò per l'ultima volta a sua moglie Angela e alla sua bellissima bambina Chiara. Una trave gli cadde sulla schiena, condannandolo. Ora sentiva il calore vicino alle gambe. Il lieve odore di gomma bruciata gli fece capire che le sue scarpe erano già state raggiunte dal fuoco. Senti un dolore lancinante risalirgli lungo le gambe e un forte odore di carne bruciata. La sua carne che bruciava.

Con un colpo della mano, Davide scacciò quella foto dalla sua spalla, e con essa i ricordi di quel uomo morto in modo così atroce.
Era senza fiato. Si piegò in avanti. Le lacrime rigavano le sue guance. Crollò in ginocchio e le sue mani sprofondarono tra i volti a lui sconosciuti. In pochi secondi seppe tutto di quelle persone. Alcune morte secoli prima, alcune secoli dopo, molte, troppe, contemporanee.
Con uno scatto si ritrasse e si ritrovò a strisciare sulle natiche verso l'interno del portone. Tra quelle persone, c'era un ragazzo che aveva conosciuto al sera prima. Ora Davide sapeva che sarebbe morto per un incidente pochi giorni dopo. Un pensiero gli spezzò il respiro in gola. E se avesse visto qualcuno dei suoi amici? Se avesse visto qualcuno a cui teneva davvero. Pian piano riprese a respirare. Continuò a retrocedere, fissando come ipnotizzato il portone spalancato e ciò che stava facendo entrare nell'androne. Si rialzò di colpo e lo chiuse violentemente. Ci si appoggiò con la schiena e scivolando sulla superficie metallica, si sedette sulle fredde mattonelle. Aveva di nuovo il fiato corto. Si rialzò a fatica e salì le scale di corsa per raggiungere il suo appartamento. Da una finestra socchiusa una decina di quelle foto erano scivolate ai suoi piedi. Le spostò nervosamente, evitando che entrassero in contatto con la sua pelle. Corse a chiudere tutte le finestre. Si vide obbligato a tirare le tende per non vedere le facce che lo osservavano, vuote, dal balcone. Non voleva. Non voleva vedere i suoi amici li fuori. Non voleva vedere nessuno.
Cos'era quella follia. Ora che ripensava, lucidamente, capiva cosa fossero quelle foto tagliate in modo così particolare. Erano foto che venivano da lapidi. Tutte le lapidi del mondo, incluse quelle future, avevano sputato le loro foto per creare quella macabra pioggia.
Davide pensò di essere diventato matto.
Stava appoggiato con la schiena alla finestra del soggiorno. Teneva gli occhi sbarrati.
Da uno spiffero sopra di lui, penetrò una di quelle foto. Lui si ritrasse inorridito. Non doveva guardarla assolutamente. Non voleva, ma era come se dovesse.
Il volto sulla foto, era il suo.

Saggi, demoni e vermi

"Se hai sempre agito in una maniera, ci sarà un motivo?"
Il mio ego continua a perseguitarmi con questa domanda da due mesi ed io continuo a zittirlo.
Condizioni differenti, nuove possibilità, evoluzione.. CAZZATE!
Se ho sempre agito allo stesso modo, è solo per difendermi da me stesso ed a mente fredda, posso dire che avevo ragione (il che è una cosa veramente rara).
Ho dimenticato che il mio Vecchio Saggio ha SEMPRE ragione. Ho voluto cambiare modus operandi, per cosa? Per rendermi conto che ho donato la mia anima al Diavolo senza volere nulla in cambio e lui l'ha rifiutata perché era troppo candida. A chi serve una persona gentile quando può trovare eserciti di stronzi ad ogni angolo?

Ora ho un nuovo mantra:

I vermi non guardano in faccia niente e nessuno.

Mr. Ruin is back!



domenica 13 maggio 2012

Venderesti l'anima al Diavolo?


‎L'asfalto di notte ha un suo fascino, specialmente quando è illuminato solo dai fari di una macchina. Si rivela poco a poco e poco a poco scompare, come se esistesse solo il tempo di passarci sopra.
"Venderesti l'anima al Diavolo?"
Mirko guardò Sara, distogliendo per un paio di secondi gli occhi dalla strada
"Certo, ma non so se gli basterebbero i soldi"
Tornò a concentrarsi sul rettilineo eterno della strada di campagna
"No, seriamente, che prezzo daresti alla tua anima?"
Mirko accennò un sorriso
"Prima di tutto dovrei essere la persona più importante del mondo e non avere più problemi di nessun tipo. Non dovermi più preoccupare delle malattie ed essere eternamente felice."
Sara face una smorfia infantile
"Non ti rendo abbastanza felice? Ti servirebbe un patto con il Diavolo per esserlo?"
Mirko si irrigidì. Osservò attentamente la strada davanti a se, poi si voltò verso Sara
"Certo che mi rendi felice piccina, infatti saresti parte della mia immensa fortuna..."
Fece per baciarla, ma in quel momento sembrò che la gravità volesse portarlo lontano da lei. Chiuse gli occhi e li riaprì.

All'inizio era tutto estremamente bianco, tanto da far male agli occhi, poi lentamente, il candore si dissolse, rivelando una stanza con al centro un letto sul quale, stava straiata una persona ed accanto a lei, seduto su una sedia, un signore vestito in maniera elegante. Il volto dell'allettato era avvolto da un fitto bendaggio che non permetteva di distinguerne i lineamenti.
Il signore elegante, si alzò dalla sedia e si voltò verso Mirko.
"Ben arrivato, iniziavo a preoccuparmi"
Mirko, ancora intontito lo guardò negli occhi, ma distolse subito lo sguardo, concentrandosi sui riflessi delle sue scarpe di vernice nera.
"Dove siamo? Chi è lei?"
"Il dove è difficile da spiegare" - rispose l'uomo, portandosi le mani dietro la schiena - "e per quanto riguarda la mia identità, beh, è altrettanto difficile"
Si mosse lentamente verso Mirko, che indietreggiò fino a toccare il muro con le spalle.
Era nudo. Fece scattare le mani davanti ai genitali.
"Credi in Dio figliolo?"
Mirko sempre più spaventato, si incassò su se stesso.
"Si.. no... forse. Credo che ci sia qualcosa che non riusciamo a capire"
Lo sconosciuto sorrise
"Molto saggio." - disse slacciandosi i bottoni del panciotto - "Sono qui, per raccontarti una storia"
Mirko sollevò lo sguardo fino ad incontrare gli occhi dello sconosciuto. Erano scuri, profondi, gli occhi di una persona molto anziana, anche se dall'aspetto, l'uomo non dimostrava più di una quarantina d'anni.
"Credo che tu conosca l'inizio di questo racconto. Ci sono una ragazza ed un ragazzo in macchina di notte. Ora inizia la parte che non conosci. Lui è alla guida e si distrae per pochi secondi, il tempo necessario per uscire di strada."
Mirko inorridì
"Sara..."
"Lasciami finire" - disse l'uomo interrompendolo - "Ora si trovano entrambi nel medesimo ospedale, entrambi in coma. Questa storia non ha una fine, ma possiamo scriverla assieme."
Mirko scivolò con la schiena sul muro fino a ritrovarsi seduto. Le lacrime gli rigavano il volto.
"Su ragazzo, non fare così. Voglio aiutarti. Posso darti una scelta, ma devi pensarci molto attentamente. Posso salvare solo uno dei protagonisti di questa storia e voglio che sia tu a decidere. Se dovessi salvare te, sono disposto a concederti l'essere la persona più importante del mondo e non avere più problemi di nessun tipo. Non doverti più preoccupare delle malattie ed essere eternamente felice.
Se dovessi salvare lei.. beh, non so quali siano i suoi desideri, quindi credo che la vita sia sufficiente."
Mirko non riusciva a parlare. Nella sua mente si accavallavano migliaia di pensieri e la voce di quell'uomo continuava a rimbombargli nelle orecchie. Tremando guardò l'uomo negli occhi e con la poca voce che aveva in corpo, balbettando rispose alla domanda
"Salva lei"
L'uomo sorrise
"Perchè?" - chiese
"Perchè è l'unico modo per ottenere tutto ciò che mi hai promesso..."
Il Diavolo gli porse la mano e lo fece alzare.
"Oggi ho imparato che esistono ancora uomini saggi."
Aprì la porta e la varcarono assieme.

La follia ed il genio

Genio e follia, si mescolano sempre.
La genialità risiede nel creare qualcosa a cui nessuno ha mai pensato e di conseguenza, qualcosa considerato folle, fuori dalla schematicità. Questo comporta dei seri problemi, spesso legati alla comprensione della propria opera, anche se la follia, aiuta a fottersene dell'opinione altrui. Sono pochissimi i geni che hanno goduto di questa nomea da vivi, si perchè oltre alla creatività, la follia alle volte porta all'isolamento, così come l'isolamento può portare alla follia.
Se siete dei geni e riuscite a non isolarvi ed essere compresi, state tranquilli, non siete ancora abbastanza folli.

venerdì 11 maggio 2012

Il vitello che va al mattatoio

A costo di essere contraddittorio, lo ammetto, ho paura.
Per gran parte della mia esistenza, ho desiderato che qualcosa annientasse il genere umano, ma ora che è stata data una scadenza, sono terrorizzato.
Il 15 Giugno, quando il TDN12 si schianterà sulla Terra, non pregherò, non impazzirò in preda al panico, ma piangerò al pensiero di tutte le cose che non ho avuto il tempo di fare e vedere. Piangerò per tutte le persone alle quali non ho avuto la possibilità di dire quanto realmente volessi bene loro.
Ancora le notizie non sono chiare.
Dalla NASA arrivano notizie discordanti per quanto riguarda il diametro. Prima erano 42 metri, ora pare siano 120 (come se 42 non bastasse per eliminarci tutti dalla faccia della Terra).
Sono preoccupato. Ho gli estremi per uno dei miei soliti attacchi di panico, ma mi sento anche sereno. Mi sento un po' come una mucca che va al mattatoio, con la coscienza che non brucherà più l'erba. Rassegnato è il termine più adatto.
Riguardo indietro e vedo i miei errori e so che non potrò mai più porvi rimedio.
Vorrei mettere in cantiere il mio film (il mio grande sogno), ma al contempo, mi chiedo chi lo guarderà, chi condividerà le emozioni che voglio imbrigliarci. Nessuno.
Ho solo bisogno di amare ancora ed ancora ed ancora, perchè è la cosa più bella che abbia mai fatto nella mia vita.
Vaffanculo TDN12! Vaffanculo di cuore!

giovedì 19 gennaio 2012

Riflessioni davanti alla stufa

Con le occhiaie più marcate che mai, mi appresto a riflettere sugli eventi della mia giornata.

Il nuovo corto procede sull'onda del montaggio
Ecco un'anteprima solo per coloro che leggono questo blog













Lo so, non dice tanto, ma se tutto va bene c'è da aspettare poco per scoprire in che casini si è cacciato stavolta Nicola Jeeg!

Chiacchiero su Skype con il buon Dario su cose riguardanti l'EVILOG..
Ora non so se farvi vedere un'anteprima.. mi consulterò con Dario... Ok, posso far vedere una cosuccia..














Dopo questa virala, ci si vede!

mercoledì 18 gennaio 2012

Dare un senso alle cose

Quando ero un bambino, con mia madre, capitava spesso di andare a casa di una sua amica.
C'erano due cose divertentissime per il mio intrattenimento: la possibilità di passare la serata seduto o sdraiato sul tappeto del soggiorno e scegliere il film della serata. Fu così che il piccolo Aaron, conobbe molti capolavori della cinematografia intellettuale, da Woody Allen a Pedro Almodovar, da Federico Fellini a Tim Burton e via discorrendo. In seguito alla separazione dei miei genitori, il pranzo in casa di mio padre, diventò l'attesa delle tre ore successive al dolce, nelle quali, lui si ritirava in camera sua per recuperare qualche ora di sonno, mentre io, scorrevo la sua collezione di VHS presi in omaggio con le più disparate riviste settimanali e davo un senso al pomeriggio, guardando capolavori come Easy Rider, Platoon, Le Iene, etc etc.
Il mio amore per questa forma di intrattenimento, andava ben oltre il seguire una storia ben congegnata. I movimenti di macchina, le ambientazioni, le luci, l'interpretazione degli attori, talvolta mi obbligavano a riguardare il film una seconda volta per comprenderne a fondo la trama. 
Ho passato un'intera vita a plasmare quello che in seguito sarebbe diventato il mio personale immaginario, il mio mondo su pellicola.
Poi, un giorno, ho iniziato a scrivere dei racconti, per ovviare il limite imposto dall'assenza di una telecamera per potere imprimere su pellicola le mie idee.
YouTube è entrato nella mia vita come un treno! La libertà di poter filmare ciò che mi accadeva e condividerlo con il mondo era accattivante. In seguito, è nata la domanda: perchè mostrare la realtà, se posso mostrare la MIA realtà.
Così è nato il Black Plumes Project, con una fotocamera con i filmati in bassa risoluzione ed una marea di sogni da esprimere.
Le persone si sono appassionate alle mie fatiche e pian piano, tento di regalare loro un prodotto con sempre meno errori, ma mantenendo una costante: la produzione dei video, mi deve prima di tutto divertire ed il risultato finale, deve essere di mio gradimento.
Maddy