mercoledì 30 maggio 2012

Il lato fresco del cuscino


Un occhialuto opinionista.
Una disinibita quarantenne che si atteggia da ventenne.
Televendita.
Televendita.
Una veggente che prevede i numeri del lotto.
Documentario pseudo naturalistico.
La nuova star del pop che starebbe meglio a fare film porno.
Opinionista.
Televendita.
Vecchio film comico-erotico.
Televendita.
Politici che discotono.
Televendita.
Televandita.
Televendita.

Alle 4 del mattino, la televisione offre più schifezze che nel pomeriggio, ed io non ho abbastanza sigarette per annebbiare tutta questa spazzatura.
Una passeggiata potrebbe essere una valida alternativa, camuffata dal bisogno di raggiungere un distributore automatico dove comprare un altro pacchetto di chiodi per la mia bara.
La strada è deserta. Una città che non offre attrattive nemmeno quando il sole è alto nel cielo, non le offre certo quando è illuminata dalla luna. L'aria fresca di una notte di primavera mi invade i polmoni. Troppa salute, meglio accendere un'altra sigaretta. La luce giallognola dei lampioni ha la sua attrattiva, una sua personale forma di poesia. Un gatto attraversa la strada e si ferma davanti a me sul marciapiede e mi fissa. Quando sono a tre metri da lui si infila di fretta tra le sbarre di un cancello e viene ingoiato dal buio di un piccolo cortile di cemento. Creature affascinanti i gatti. Chissà se nei miei occhi era evidente anche per lui la mia completa apatia, il bisogno di dormire più di due ore per notte.
La via del distributore è al buio. La vetrina illumintata sembra un faro di speranza in mezzo a tutto questo nero.
Rientrando verso casa, mi rendo conto che il cancello dove prima è scomparso il gatto è aperto.
Maledetta la noia.
Entro. Ci metto qualche secondo ad abituarmi alla penombra. Spavaldo davanti a me, c'è il gatto. Quando mi avvicino per tentare un approccio, quello scappa dentro una porta socchiusa. Quante storie per un minimo di contatto. Entro dalla porta. Cerco a tentoni l'interruttore, ma non lo trovo. La fiamma dell'accendino mi ferisce gli occhi, ma dopo un po', riesco a vedere il gatto. E' sulla porta della casa al primo piano, immobile. La porta è aperta.
La mia attenzione ora si è allontanata dal gatto. Quella porta spalancata, ad uno come me, che cerca in qualsiasi cosa uno spiraglio per alleviare l'insofferenza, sembra un gigantesco cartello di benvenuto.
Entro nella casa.
Le pareti, sono illuminate ad intermittenza da un familiare chiarore azzurrognolo. La televisione è accesa, ma manca l'audio. Forse un altro insonne.
Invece no. Lui dorme. Sdraiato su un divano di finta pelle gialla. Non voglio disturbarlo, ma la curiosità è una brutta bestia. Entro in cucina e accendo la luce. Chiudo la porta, non voglio disturbare il mio ospite inconsapevole.
All'improvviso una piccola scossa elettrica ed una senzazione di caldo, mi avvolge il collo. E' come se non controllassi io i miei gesti. Afferro un coltello e torno nel piccolo salotto. Il mio ospite dorme ancora, mentre con quattro fendenti decisi faccio in modo che non apra mai più gli occhi. Ritorno in cucina e lavo con cura il coltello, per poi riporlo ordinatamente in un cassetto. Esco dalla casa, lasciando la porta aperta come l'ho trovata. Sul pianerottolo, trovo il gatto seduto. Ora si fa accarezzare, ma non ho più bisogno del suo affetto. Mi gironzola intorno ai piedi, mentre scendo le scale ed esco dal portone, ritrovandomi nel buio della notte. Alzo lo sguardo al cielo e la vista delle stelle, mi ricorda che la notte, è fatta per dormire. Rientro a casa, sprofondo del divano ed accendo la televisione. Niente di realmente interessante. Domani parleranno di me. Domani. Per il momento spengo la televisione, mi sdraio, e prima di addormentarmi, godo per qualche minuto la sensazione di benessere che mi da il lato fresco del cuscino.

lunedì 14 maggio 2012

La Pioggia (2005)


Davide si svegliò lentamente, come tutti i giorni, osservando la superficie piatta della mensola sopra il letto. Percorse svariate volte le piccole imperfezioni che trasparivano attraverso la vernice, prima di decidere che era ora di fare iniziare un nuovo giorno.
Guardò verso l'orologio sul muro. Era la sua dannazione da quando soffriva di insonnia. Ogni giorno la sottile lancetta era sempre più indietro .
Le sette e due minuti. Più tardi del solito.
Si diresse lentamente verso il bagno, preparandosi all'impatto dell'acqua gelata sulla pelle. Si fermò con la maniglia tra le dita. Fuori nevicava, una cosa piuttosto insolita in una località di mare come la città che lo ospitava da 22 anni.
Si infilò le scarpe e aprì la porta. Lentamente percorse le quattro rampe di scale che lo separavano dal portone del palazzo.
Aprendo la porta, un po' di neve scivolò sulle mattonelle, rivelando la sua vera natura.
Non era neve, bensì pezzi di carta, di svariate dimensioni, ma mai più grandi di un palmo, con sopra stampate delle facce. Davide ne raccolse una.

Michela giaceva sul suo letto. Avrebbe tanto desiderato rivedere i sui adorati nipoti, ma erano tutti andati via. Le prospettive lavorative del piccolo borgo in cui la famiglia viveva da sempre, non erano abbastanza per le loro menti ambiziose.
Avere dei nipoti con delle vedute così ampie le riempiva il cuore di gioia, ora però sentiva che la sua ora era vicina. Il suo debole cuore aveva iniziato ad accelerare.
Non l'aveva mai spaventata la solitudine. Suo marito l'aveva lasciata quando era molto giovane, per ricongiungersi al creatore. Ora però aveva paura di morire da sola. Non voleva.
I suoi occhi pian piano iniziarono a chiudersi. Sentì un forte bruciore nel petto. Poi nulla.

Davide spalancò gli occhi. La fotografia cadde sul pavimento. Aveva vissuto, per qualche istante, gli ultimi momenti, i pensieri, le paure della donna immortalata in bianco e nero.
Si sporse dalla porta. Tutto il cortile era coperto di una soffice coltre di volti.
Una foto gli si posò sulla spalla.

Marco si arrampicò su per la scalinata. Non sapeva come fare. Le fiamme erano vicine. Troppo vicine. Morire così, a 30 anni, bruciato vivo. Pensò per l'ultima volta a sua moglie Angela e alla sua bellissima bambina Chiara. Una trave gli cadde sulla schiena, condannandolo. Ora sentiva il calore vicino alle gambe. Il lieve odore di gomma bruciata gli fece capire che le sue scarpe erano già state raggiunte dal fuoco. Senti un dolore lancinante risalirgli lungo le gambe e un forte odore di carne bruciata. La sua carne che bruciava.

Con un colpo della mano, Davide scacciò quella foto dalla sua spalla, e con essa i ricordi di quel uomo morto in modo così atroce.
Era senza fiato. Si piegò in avanti. Le lacrime rigavano le sue guance. Crollò in ginocchio e le sue mani sprofondarono tra i volti a lui sconosciuti. In pochi secondi seppe tutto di quelle persone. Alcune morte secoli prima, alcune secoli dopo, molte, troppe, contemporanee.
Con uno scatto si ritrasse e si ritrovò a strisciare sulle natiche verso l'interno del portone. Tra quelle persone, c'era un ragazzo che aveva conosciuto al sera prima. Ora Davide sapeva che sarebbe morto per un incidente pochi giorni dopo. Un pensiero gli spezzò il respiro in gola. E se avesse visto qualcuno dei suoi amici? Se avesse visto qualcuno a cui teneva davvero. Pian piano riprese a respirare. Continuò a retrocedere, fissando come ipnotizzato il portone spalancato e ciò che stava facendo entrare nell'androne. Si rialzò di colpo e lo chiuse violentemente. Ci si appoggiò con la schiena e scivolando sulla superficie metallica, si sedette sulle fredde mattonelle. Aveva di nuovo il fiato corto. Si rialzò a fatica e salì le scale di corsa per raggiungere il suo appartamento. Da una finestra socchiusa una decina di quelle foto erano scivolate ai suoi piedi. Le spostò nervosamente, evitando che entrassero in contatto con la sua pelle. Corse a chiudere tutte le finestre. Si vide obbligato a tirare le tende per non vedere le facce che lo osservavano, vuote, dal balcone. Non voleva. Non voleva vedere i suoi amici li fuori. Non voleva vedere nessuno.
Cos'era quella follia. Ora che ripensava, lucidamente, capiva cosa fossero quelle foto tagliate in modo così particolare. Erano foto che venivano da lapidi. Tutte le lapidi del mondo, incluse quelle future, avevano sputato le loro foto per creare quella macabra pioggia.
Davide pensò di essere diventato matto.
Stava appoggiato con la schiena alla finestra del soggiorno. Teneva gli occhi sbarrati.
Da uno spiffero sopra di lui, penetrò una di quelle foto. Lui si ritrasse inorridito. Non doveva guardarla assolutamente. Non voleva, ma era come se dovesse.
Il volto sulla foto, era il suo.

Saggi, demoni e vermi

"Se hai sempre agito in una maniera, ci sarà un motivo?"
Il mio ego continua a perseguitarmi con questa domanda da due mesi ed io continuo a zittirlo.
Condizioni differenti, nuove possibilità, evoluzione.. CAZZATE!
Se ho sempre agito allo stesso modo, è solo per difendermi da me stesso ed a mente fredda, posso dire che avevo ragione (il che è una cosa veramente rara).
Ho dimenticato che il mio Vecchio Saggio ha SEMPRE ragione. Ho voluto cambiare modus operandi, per cosa? Per rendermi conto che ho donato la mia anima al Diavolo senza volere nulla in cambio e lui l'ha rifiutata perché era troppo candida. A chi serve una persona gentile quando può trovare eserciti di stronzi ad ogni angolo?

Ora ho un nuovo mantra:

I vermi non guardano in faccia niente e nessuno.

Mr. Ruin is back!



domenica 13 maggio 2012

Venderesti l'anima al Diavolo?


‎L'asfalto di notte ha un suo fascino, specialmente quando è illuminato solo dai fari di una macchina. Si rivela poco a poco e poco a poco scompare, come se esistesse solo il tempo di passarci sopra.
"Venderesti l'anima al Diavolo?"
Mirko guardò Sara, distogliendo per un paio di secondi gli occhi dalla strada
"Certo, ma non so se gli basterebbero i soldi"
Tornò a concentrarsi sul rettilineo eterno della strada di campagna
"No, seriamente, che prezzo daresti alla tua anima?"
Mirko accennò un sorriso
"Prima di tutto dovrei essere la persona più importante del mondo e non avere più problemi di nessun tipo. Non dovermi più preoccupare delle malattie ed essere eternamente felice."
Sara face una smorfia infantile
"Non ti rendo abbastanza felice? Ti servirebbe un patto con il Diavolo per esserlo?"
Mirko si irrigidì. Osservò attentamente la strada davanti a se, poi si voltò verso Sara
"Certo che mi rendi felice piccina, infatti saresti parte della mia immensa fortuna..."
Fece per baciarla, ma in quel momento sembrò che la gravità volesse portarlo lontano da lei. Chiuse gli occhi e li riaprì.

All'inizio era tutto estremamente bianco, tanto da far male agli occhi, poi lentamente, il candore si dissolse, rivelando una stanza con al centro un letto sul quale, stava straiata una persona ed accanto a lei, seduto su una sedia, un signore vestito in maniera elegante. Il volto dell'allettato era avvolto da un fitto bendaggio che non permetteva di distinguerne i lineamenti.
Il signore elegante, si alzò dalla sedia e si voltò verso Mirko.
"Ben arrivato, iniziavo a preoccuparmi"
Mirko, ancora intontito lo guardò negli occhi, ma distolse subito lo sguardo, concentrandosi sui riflessi delle sue scarpe di vernice nera.
"Dove siamo? Chi è lei?"
"Il dove è difficile da spiegare" - rispose l'uomo, portandosi le mani dietro la schiena - "e per quanto riguarda la mia identità, beh, è altrettanto difficile"
Si mosse lentamente verso Mirko, che indietreggiò fino a toccare il muro con le spalle.
Era nudo. Fece scattare le mani davanti ai genitali.
"Credi in Dio figliolo?"
Mirko sempre più spaventato, si incassò su se stesso.
"Si.. no... forse. Credo che ci sia qualcosa che non riusciamo a capire"
Lo sconosciuto sorrise
"Molto saggio." - disse slacciandosi i bottoni del panciotto - "Sono qui, per raccontarti una storia"
Mirko sollevò lo sguardo fino ad incontrare gli occhi dello sconosciuto. Erano scuri, profondi, gli occhi di una persona molto anziana, anche se dall'aspetto, l'uomo non dimostrava più di una quarantina d'anni.
"Credo che tu conosca l'inizio di questo racconto. Ci sono una ragazza ed un ragazzo in macchina di notte. Ora inizia la parte che non conosci. Lui è alla guida e si distrae per pochi secondi, il tempo necessario per uscire di strada."
Mirko inorridì
"Sara..."
"Lasciami finire" - disse l'uomo interrompendolo - "Ora si trovano entrambi nel medesimo ospedale, entrambi in coma. Questa storia non ha una fine, ma possiamo scriverla assieme."
Mirko scivolò con la schiena sul muro fino a ritrovarsi seduto. Le lacrime gli rigavano il volto.
"Su ragazzo, non fare così. Voglio aiutarti. Posso darti una scelta, ma devi pensarci molto attentamente. Posso salvare solo uno dei protagonisti di questa storia e voglio che sia tu a decidere. Se dovessi salvare te, sono disposto a concederti l'essere la persona più importante del mondo e non avere più problemi di nessun tipo. Non doverti più preoccupare delle malattie ed essere eternamente felice.
Se dovessi salvare lei.. beh, non so quali siano i suoi desideri, quindi credo che la vita sia sufficiente."
Mirko non riusciva a parlare. Nella sua mente si accavallavano migliaia di pensieri e la voce di quell'uomo continuava a rimbombargli nelle orecchie. Tremando guardò l'uomo negli occhi e con la poca voce che aveva in corpo, balbettando rispose alla domanda
"Salva lei"
L'uomo sorrise
"Perchè?" - chiese
"Perchè è l'unico modo per ottenere tutto ciò che mi hai promesso..."
Il Diavolo gli porse la mano e lo fece alzare.
"Oggi ho imparato che esistono ancora uomini saggi."
Aprì la porta e la varcarono assieme.

La follia ed il genio

Genio e follia, si mescolano sempre.
La genialità risiede nel creare qualcosa a cui nessuno ha mai pensato e di conseguenza, qualcosa considerato folle, fuori dalla schematicità. Questo comporta dei seri problemi, spesso legati alla comprensione della propria opera, anche se la follia, aiuta a fottersene dell'opinione altrui. Sono pochissimi i geni che hanno goduto di questa nomea da vivi, si perchè oltre alla creatività, la follia alle volte porta all'isolamento, così come l'isolamento può portare alla follia.
Se siete dei geni e riuscite a non isolarvi ed essere compresi, state tranquilli, non siete ancora abbastanza folli.

venerdì 11 maggio 2012

Il vitello che va al mattatoio

A costo di essere contraddittorio, lo ammetto, ho paura.
Per gran parte della mia esistenza, ho desiderato che qualcosa annientasse il genere umano, ma ora che è stata data una scadenza, sono terrorizzato.
Il 15 Giugno, quando il TDN12 si schianterà sulla Terra, non pregherò, non impazzirò in preda al panico, ma piangerò al pensiero di tutte le cose che non ho avuto il tempo di fare e vedere. Piangerò per tutte le persone alle quali non ho avuto la possibilità di dire quanto realmente volessi bene loro.
Ancora le notizie non sono chiare.
Dalla NASA arrivano notizie discordanti per quanto riguarda il diametro. Prima erano 42 metri, ora pare siano 120 (come se 42 non bastasse per eliminarci tutti dalla faccia della Terra).
Sono preoccupato. Ho gli estremi per uno dei miei soliti attacchi di panico, ma mi sento anche sereno. Mi sento un po' come una mucca che va al mattatoio, con la coscienza che non brucherà più l'erba. Rassegnato è il termine più adatto.
Riguardo indietro e vedo i miei errori e so che non potrò mai più porvi rimedio.
Vorrei mettere in cantiere il mio film (il mio grande sogno), ma al contempo, mi chiedo chi lo guarderà, chi condividerà le emozioni che voglio imbrigliarci. Nessuno.
Ho solo bisogno di amare ancora ed ancora ed ancora, perchè è la cosa più bella che abbia mai fatto nella mia vita.
Vaffanculo TDN12! Vaffanculo di cuore!