sabato 28 luglio 2012

Nemesi

Mi fissava.
Quando gli davo le spalle, dopo aver fatto finta di voltarsi a sua volta, si girava ed indugiava con lo sguardo su di me, facendomi sentire a disagio.
Forse provava invidia. Realmente non so come potesse invidiarmi, eppure, ora che sono qui, seduto sul letto, con le mani che grondano del suo sangue, mi sembra l'unica spiegazione per quella ostinata persecuzione.
Non mi sento colpevole, eppure ho ucciso qualcuno, qualcuno a cui tenevo, qualcuno che faceva parte della mia vita da tanto tempo. Non mi sento colpevole per il mio gesto, perché la sua è stata una provocazione continua.
Ho ricordi di lui che risalgono alla mia infanzia ed ora che ci penso, è il solo che mi sia sempre stato vicino, più di un fratello, più di una madre. Lui c'è sempre stato, anche se non ha mai proferito parola, a meno che non glie lo concedessi io. Nonostante questo non credo che mi mancherà, ma è solo colpa sua se è accaduto ciò che è accaduto.
Negli ultimi mesi, avevo notato nei suoi occhi una luce diversa e con la coda dell'occhio, vedevo la sua bocca distorta in una smorfia di disgusto, disgusto nei miei confronti. Nei miei confronti! Ridicolo!
Poi ha iniziato a fissarmi. Anche ora che è morto, mi sembra di percepire il suo sguardo, appuntito come uno spillo che mi penetra la nuca. Quando andavo a verificare le mie teorie, si mostrava curioso, come se anche lui cercasse di capire cosa andavo cercando, senza mai abbassare lo sguardo, tenendolo fisso sui miei occhi, come se volesse intimorirmi e puntualmente, quando mi voltavo per coglierlo sul fatto, lui era li, come sempre era stato, che mi osservava, con l'espressione di chi ha appena subito un torto ma non vuole ammetterlo.
Alla fine mi sono stufato.
Ha indugiato con il suo sguardo su di me per l'ultima volta. Mi sono mosso velocemente, convinto di riuscire a prenderlo di sorpresa, eppure, come se conoscesse le mie intenzioni, ha lottato e si è difeso, ma ha sottovalutato il suo avversario.
Ora che la lotta è finita e lui è morto, non resta altro che le mie mani insanguinate ed un tappeto di cocci sul pavimento.
Non me ne pento, ma forse inizia a farsi strada in me la malinconia e forse anche un dubbio. Ora mi alzerò dal letto e verificherò, ma sono quasi convinto di vederlo ancora, vivo, pronto a fissarmi, a sfidarmi rubando i miei occhi. Non si può uccidere il proprio riflesso in uno specchio.

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