lunedì 14 maggio 2012

La Pioggia (2005)


Davide si svegliò lentamente, come tutti i giorni, osservando la superficie piatta della mensola sopra il letto. Percorse svariate volte le piccole imperfezioni che trasparivano attraverso la vernice, prima di decidere che era ora di fare iniziare un nuovo giorno.
Guardò verso l'orologio sul muro. Era la sua dannazione da quando soffriva di insonnia. Ogni giorno la sottile lancetta era sempre più indietro .
Le sette e due minuti. Più tardi del solito.
Si diresse lentamente verso il bagno, preparandosi all'impatto dell'acqua gelata sulla pelle. Si fermò con la maniglia tra le dita. Fuori nevicava, una cosa piuttosto insolita in una località di mare come la città che lo ospitava da 22 anni.
Si infilò le scarpe e aprì la porta. Lentamente percorse le quattro rampe di scale che lo separavano dal portone del palazzo.
Aprendo la porta, un po' di neve scivolò sulle mattonelle, rivelando la sua vera natura.
Non era neve, bensì pezzi di carta, di svariate dimensioni, ma mai più grandi di un palmo, con sopra stampate delle facce. Davide ne raccolse una.

Michela giaceva sul suo letto. Avrebbe tanto desiderato rivedere i sui adorati nipoti, ma erano tutti andati via. Le prospettive lavorative del piccolo borgo in cui la famiglia viveva da sempre, non erano abbastanza per le loro menti ambiziose.
Avere dei nipoti con delle vedute così ampie le riempiva il cuore di gioia, ora però sentiva che la sua ora era vicina. Il suo debole cuore aveva iniziato ad accelerare.
Non l'aveva mai spaventata la solitudine. Suo marito l'aveva lasciata quando era molto giovane, per ricongiungersi al creatore. Ora però aveva paura di morire da sola. Non voleva.
I suoi occhi pian piano iniziarono a chiudersi. Sentì un forte bruciore nel petto. Poi nulla.

Davide spalancò gli occhi. La fotografia cadde sul pavimento. Aveva vissuto, per qualche istante, gli ultimi momenti, i pensieri, le paure della donna immortalata in bianco e nero.
Si sporse dalla porta. Tutto il cortile era coperto di una soffice coltre di volti.
Una foto gli si posò sulla spalla.

Marco si arrampicò su per la scalinata. Non sapeva come fare. Le fiamme erano vicine. Troppo vicine. Morire così, a 30 anni, bruciato vivo. Pensò per l'ultima volta a sua moglie Angela e alla sua bellissima bambina Chiara. Una trave gli cadde sulla schiena, condannandolo. Ora sentiva il calore vicino alle gambe. Il lieve odore di gomma bruciata gli fece capire che le sue scarpe erano già state raggiunte dal fuoco. Senti un dolore lancinante risalirgli lungo le gambe e un forte odore di carne bruciata. La sua carne che bruciava.

Con un colpo della mano, Davide scacciò quella foto dalla sua spalla, e con essa i ricordi di quel uomo morto in modo così atroce.
Era senza fiato. Si piegò in avanti. Le lacrime rigavano le sue guance. Crollò in ginocchio e le sue mani sprofondarono tra i volti a lui sconosciuti. In pochi secondi seppe tutto di quelle persone. Alcune morte secoli prima, alcune secoli dopo, molte, troppe, contemporanee.
Con uno scatto si ritrasse e si ritrovò a strisciare sulle natiche verso l'interno del portone. Tra quelle persone, c'era un ragazzo che aveva conosciuto al sera prima. Ora Davide sapeva che sarebbe morto per un incidente pochi giorni dopo. Un pensiero gli spezzò il respiro in gola. E se avesse visto qualcuno dei suoi amici? Se avesse visto qualcuno a cui teneva davvero. Pian piano riprese a respirare. Continuò a retrocedere, fissando come ipnotizzato il portone spalancato e ciò che stava facendo entrare nell'androne. Si rialzò di colpo e lo chiuse violentemente. Ci si appoggiò con la schiena e scivolando sulla superficie metallica, si sedette sulle fredde mattonelle. Aveva di nuovo il fiato corto. Si rialzò a fatica e salì le scale di corsa per raggiungere il suo appartamento. Da una finestra socchiusa una decina di quelle foto erano scivolate ai suoi piedi. Le spostò nervosamente, evitando che entrassero in contatto con la sua pelle. Corse a chiudere tutte le finestre. Si vide obbligato a tirare le tende per non vedere le facce che lo osservavano, vuote, dal balcone. Non voleva. Non voleva vedere i suoi amici li fuori. Non voleva vedere nessuno.
Cos'era quella follia. Ora che ripensava, lucidamente, capiva cosa fossero quelle foto tagliate in modo così particolare. Erano foto che venivano da lapidi. Tutte le lapidi del mondo, incluse quelle future, avevano sputato le loro foto per creare quella macabra pioggia.
Davide pensò di essere diventato matto.
Stava appoggiato con la schiena alla finestra del soggiorno. Teneva gli occhi sbarrati.
Da uno spiffero sopra di lui, penetrò una di quelle foto. Lui si ritrasse inorridito. Non doveva guardarla assolutamente. Non voleva, ma era come se dovesse.
Il volto sulla foto, era il suo.

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