lunedì 8 ottobre 2012

Improvviso

Questo racconto è da leggere con questo sottofondo Schubert - Improvviso Op. 90 n. 3 o per lo meno, è consigliabile.

Il vialetto è quasi totalmente sommerso dalle foglie secche cadute dagli alberi. Quando soffia il vento, sembra di sentire il mare durante una tempesta e guardandole, sembra quasi di scorgere i riflessi del tramonto sull'agitazione dell'acqua, eppure sono foglie, e tali restano, come me, che resto dentro casa ad osservarle dalla finestra.
Non guardo la televisione, a dire il vero, ho perso anche il telecomando e non so se l'apparecchio funziona ancora. Passo le mie giornate in solitudine, ogni tanto scrivo, ogni tanto disegno ed ultimamente, ho riavvicinato le dita al vecchio pianoforte ereditato da mio padre. Lo stesso pianoforte, che durante la mia infanzia mi è stato negato, anche con severe punizioni, quando in silenzio mi avvicinavo e ne spiavo i tasti e poco a poco, immemore della cautela, ne premevo uno, poi un'altro ed un'altro ancora, per permettere a quel suono dolce e profondo di sconquassarmi l'anima. Quasi immediatamente, mi pentivo di avere provato quel piacere, lacerato dalla cinghia di mio padre che con il suo schiocco secco, mi riportava alla realtà della mia infrazione.
Per tutta la vita ho portato i segni della sua violenza e delle sue negazioni. Quando ho scoperto le ragazze, durante l'adolescenza, e timidamente ho provato ad avvicinarmi a loro, nel momento preciso in cui stavo per essere felice, mi negavo di esserlo, scappando, lasciando tutto a metà. La stessa cosa è avvenuta negli studi, sul lavoro, in ogni singola cosa che potesse donarmi gioia, la boicottavo, come se il piacere mi fosse precluso.
Solo ora, nella mia solitudine, a distanza di anni, mi concedo quello che fu il piacere ancestrale, suonare quel vecchio e ingombrante pianoforte, carezzarne i tasti e conoscere ogni sfumatura del loro colore, dal bianco al rosso, al nero. Il candore di quelle note, sovrapposto, ora diventa poesia ed armonia, come pennellata su un dipinto che tratto dopo tratto, mostrano la bellezza rubata ed intrappolata sulla tela, come le lettere che preso il giusto ordine, fanno percepire persino odori, colori e rumori mai sentiti. Questo avrei voluto dire a mio padre, fargli capire che non volevo distruggere il suo tesoro, ma condividere tutta questa bellezza con il mondo. Mentre moriva, mi ha sentito suonare per la prima ed ultima volta ed ha pianto, ed io, con lui. Gli ho stretto la mano, mentre lentamente il sangue si infiltrava nelle trame del tappeto. La melodia dell'Improvviso n.3 di Schubert mi echeggiava ancora nella mente, mentre con calma, lo portavo in giardino e nel silenzio della notte lo seppellivo, li dove ora ci sono le foglie, e nel vento sembrano un mare in tempesta.

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